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Il ddl Bazoli che reca disposizioni in materia di “Morte volontaria medicalmente assistita”, convertito in legge alla Camera dei Deputati il 30 marzo 2022 e ora sottoposto al Senato (Atto n. 104) prevede il diritto all’obiezione di coscienza (articolo 6) solo all’esercente la professione sanitaria in senso stretto, che potrà astenersi da quelle attività connesse – in senso spaziale, cronologico e tecnico – all’attuazione della pratica e non alle attività prodromiche (ad esempio: prescrizioni mediche, analisi cliniche, prestazione di cure, eccetera). In questi casi gli enti ospedalieri pubblici devono prevedere l’organizzazione di un servizio che permetta, comunque, l’esercizio dei diritti del paziente nonostante la mancata partecipazione dell’obiettore.
La sentenza della Corte costituzionale (n. 42// 2019, cosiddetta “Antonioni/ Cappato” sul caso di Dj Fabo) nel trattare la legittimità dell’aiuto al suicidio medicalizzato in merito all’obiezione di coscienza del personale sanitario si era limitata a dichiarare che “resta affidato alla coscienza del singolo medico scegliere se prestarsi, o no, a esaudire la richiesta del malato”.
È facile pensare che il ripetuto invito al legislatore di intervenire normativamente per regolamentare alcuni vuoti legislativi che la Corte non aveva avuto la possibilità di sanare, potesse riguardare anche l’obiezione di coscienza. Così non stupisce che la normativa Bazoli preveda un articolo dedicato all’obiezione di coscienza e ad una sua regolamentazione. Attualmente nell’ambito medico- sanitario e sperimentale il nostro ordinamento giuridico prevede l’obiezione di coscienza in tre casi: l’interruzione volontaria della gravidanza (L. n. 194/ 1978); la sperimentazione animale (L. n. 413/ 1993) e la procreazione medicalmente assistita (L. n. 40/ 2004).
Delimitare legislativamente l’ambito di applicazione della libertà di coscienza, indicare quali imperativi morali possono formare motivi idonei a giustificare l’obiezione non è peraltro cosa semplice. In via generale le ragioni che giustificano l’obiezione sono date in considerazione del fatto che nella nostra società pluralista, anche nel riferimento ai valori e ai diritti fondamentali accolti dalla Costituzione, è maturata una sensibilità nuova che ammette la possibilità, in situazioni di particolare problematicità etica, di sollevare opzione di coscienza rimettendo all’individuo la scelta tra comportamenti alternativi legittimi sotto il profilo giuridico.
Così dal caso più antico, l’obiezione di coscienza nei confronti del servizio militare, si è consentita legislativamente l’obiezione di coscienza in altri settori. È indubbio che la normativa invocata dalla Corte, con la possibilità per il paziente di chiedere al medico l’aiuto al suicidio, evidenzia delle problematiche etiche. Soprattutto il medico si vede coinvolto in una pratica che può comportare un cambiamento di paradigma in merito alle sue più tradizionali funzioni.
Al riguardo le posizioni sono diverse. L’una è quella storicamente più diffusa e afferma che il compito professionale del medico e del personale sanitario è rivolto alla guarigione e alla cura, e non contempla atti che procurano direttamente la morte. L’altra posizione è teoricamente più recente e non esclude che l’aiuto a morire possa rientrare tra i compiti professionali del medico e del personale sanitario. In questi casi, la disponibilità del medico ad assecondare la richiesta di morire nasce dal principio primum non nocere, ossia dal dovere che impone di non causare nocumento e di diminuire il dolore del paziente.
In Europa le normative che, nei vari Paesi, hanno legalizzato il suicidio medicalmente assistito o l’eutanasia, fanno proprie queste indicazioni, pur riconoscendo la possibilità dell’obiezione di coscienza per il personale sanitario coinvolto. Non sono mancate, tuttavia, critiche alla possibilità per il medico di avvalersi di tale opzione nell’ambito di queste materie a carattere sanitario. Fra queste quella di ritenere contraddittorio consentire l’obiezione di coscienza in una libera attività professionale necessaria quale è quella sanitaria. A nessuno, si dice, è stato imposto di intraprendere la carriera medica in questo settore. Tanto più che tale scelta a favore di chi esercita la professione medica ha dato di sovente luogo a distorsioni nell’erogazione dei relativi servizi sanitari e iniquità nella distribuzione dei carichi di lavoro all’interno delle strutture sanitarie pubbliche o private.
Va considerato che prevedere un diritto all’obiezione di coscienza non indebolisce la legge, come forse temono coloro che sono particolarmente favorevoli ad una normativa. Quando il legislatore prevede l’obiezione di coscienza ritiene, tuttavia, pienamente legittimi gli obblighi che decide di imporre, cosicché la sua previsione (l’eccezione) vale sempre a confermare, e non a smentire, la legittimità della regola. La finalità è di evitare che vi possa essere violenza nell’obbligare un medico a far ciò che la sua coscienza ritiene non etico quando sono in gioco valori costituzionali come la vita umana.