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il candidato AVS Mimmo Lucano, ex sindaco di Riace, in occasione dell’incontro dei candidati AVS alle elezioni europee con gli elettori tenutosi a Roma, Martedì, 21 Maggio 2024 (Foto Mauro Scrobogna / LaPresse) the AVS candidate Mimmo Lucano, former mayor of Riace, on the occasion of the meeting of the AVS candidates for the European elections with the voters held in Rome, Tuesday, May 21 2024 (Photo by Mauro Scrobogna / LaPresse)
Non molto tempo fa, Marco Travaglio aveva deciso di informarci che Piercamillo Davigo è innocente. Lo dice lui, e tanto basta. Poco importa che una sentenza lo abbia condannato per rivelazione di segreto: ha ritenuto che fosse ingiusta e quindi da ignorare. Il tribunale di Travaglio ha emesso il suo verdetto, e chi siamo noi per metterlo in discussione?
Bene, se il metro di giudizio è questo, allora abbiamo il diritto di dire che Mimmo Lucano è innocente. Se Davigo può godere di un’assoluzione giornalistica, perché negare lo stesso privilegio a Lucano, che è stato condannato per una firma su una determina? Un pezzo di carta che non ha generato spese, danni, arricchimenti personali. La presunta truffa ipotizzata dalla procura di Locri, infatti, non esiste, sentenza alla mano. E nemmeno tutto il resto: l’accoglienza - lo si legge chiaramente nelle motivazioni d’appello date per buone dalla Cassazione - non era un paravento, non era una farsa. Era tutto vero.
Quindi, l’accoglienza non era una truffa. Non serviva una laurea in giurisprudenza per capirlo. Eppure, per Lucano nessuna indulgenza, nessuna arringa difensiva dalle colonne del Fatto Quotidiano. Davigo, condannato per diffuso atti coperti da segreto, diventa un martire della giustizia, mentre Lucano, colpevole di aver amministrato con troppa passione, è una sorta di criminale seriale.
Il primo va difeso a spada tratta, il secondo può marcire nel tritacarne mediatico. Nel tribunale ideale di Travaglio le cose funzionano così. Le sentenze valgono solo quando fa comodo. Se l’imputato è un amico, la condanna diventa un dettaglio da archiviare. Meglio: non esiste. Se l’imputato non rientra nella narrazione giusta, invece, allora il tribunale mediatico si scatena senza pietà.
Il codice penale? Variabile. Le colpe? Interpretative. La coerenza? Assente ingiustificata. D’altronde, la realtà si piega all’opportunità del momento e la giustizia viaggia a targhe alterne. Ma tranquilli: il giornalismo imparziale è salvo. È scritto nero su bianco su Il Fatto Quotidiano. Travaglio continuerà a spiegarci come funziona la legge. A patto che piaccia a lui.