Vi è almeno un argomento su cui tutte le forze politiche sono sconsolatamente d’accordo: la drammatica e inumana situazione delle nostre carceri. Poi, ovviamente, ci si divide su come intervenire. Ma poiché nessuna forza politica può dirsi esente da responsabilità e poiché nessuna delle soluzioni “a regime” ha possibilità di essere validamente sperimentata se prima non si provvede a decongestionare sensibilmente e subito l’inferno penitenziario - che nelle attuali condizioni è in grado di produrre soltanto un doloroso e infamante rosario di suicidi, anche tra gli appartenenti alla polizia penitenziaria, un dilagare dei disturbi psichiatrici, un inquietante moltiplicarsi di rivolte e di aggressioni - gli attori politici dovrebbero dare un segnale di responsabilità recependo il recente appello sottoscritto da venticinque autorevoli firme a favore di un provvedimento di amnistia e di indulto Paese (Luigi Manconi ed altri, come pubblicato sul numero del 22 ottobre, ndr).

Non si tratterebbe di un atto di debolezza, o ancor meno di resa dello Stato; semmai di un intervento giusto e provvidenziale per cancellare quella che altrimenti resterebbe una pagina vergognosa nella storia di questo.

Ci sono, del resto, importanti considerazioni- ove si fosse disposti a tenerne conto al di sopra degli schieramenti e dei miopi calcoli elettorali - che dovrebbero indurre ad accogliere l’appello e ad approvare al più presto un provvedimento di amnistia e di indulto: - ridurre la pena detentiva non obbedirebbe a buonismo, ma a giustizia: le crudeli condizioni di esecuzione della pena ne hanno sensibilmente aumentato il grado di afflittività, per cui ridurne la durata significherebbe in parte risarcire il condannato dell’indebita sofferenza aggiuntiva che ha dovuto subire; - l’esperienza dei precedenti provvedimenti clemenziali dimostra - come opportunamente si ricorda e si documenta nell’appello- che ne è seguita una riduzione sensibile del tasso di recidiva e, quindi, un aumento della sicurezza sociale; - si interromperebbe

l’ingravescente sovraffollamento carcerario evitando al nostro Paese un’altra ustionante e infamante condanna della Corte di Strasburgo per trattamento inumano e degradante dei nostri detenuti; - si darebbe doverosamente seguito, sia pure con un provvedimento tampone, alla sentenza con cui la Corte costituzionalità - più di dieci anni fa (!), in una situazione non dissimile dall’attuale - ammoniva «come non sarebbe tollerabile l’eccessivo protrarsi dell’inerzia legislativa in ordine al grave problema» del sovraffollamento penitenziario (sentenza n. 23 del 2013); - si consentirebbe agli operatori della polizia penitenziaria di volgere la loro delicatissima e insostituibile funzione, senza doversi confrontare con una sconfortante quotidianità di disperante degrado e di difficile governo, che offre un alibi ai pochi violenti tra di loro per ricorrere a illecite vessazioni; - da ultimo, argomento prosaico, ma non privo di appeal di questi tempi, un decongestionamento carcerario comporterebbe un significativo risparmio per le finanze pubbliche che, in mancanza, dovranno continuare a far fronte a migliaia sia di mantenimenti in carcere e sia di risarcimenti per trattamento inumano e degradante.

Ma un drastico provvedimento in grado di porre fine a questo scempio di umanità esibito dalle patrie galere otterrebbe un risultato, meno tangibile, ma non meno importante. In questa sconfortante stagione in cui il mondo offre quotidiani esempi di disumanità e di ingiustizia, in cui la retina dell’anima è costretta a guardare scene di raccapricciante e inutile barbarie, in cui per non cedere alla depressione si è costretti ad alzare continuamente l’asticella di ciò che è psicologicamente tollerabile, sarebbe un salutare segnale di civiltà poter constatare che la nostra politica - abbandonando recriminazioni, invettive, soluzioni farlocche ha saputo dire basta a questa non più tollerabile degradazione della dignità di decine di migliaia di persone recluse, che è poi degradazione - come ci ha ricordato il Capo dello Stato- della dignità del nostro Paese.