Dopo la battaglia persa in Parlamento sulle detenute madri nell’ambito del Ddl sicurezza, Antonio Tajani e il vice ministro della Giustizia, Francesco Paolo Sisto, si sono impegnati a portare avanti importanti interventi in ambito penitenziario, incentrati sull’umanità della pena e sull’accesso alle misure alternative. Tuttavia fra questi interventi poco si sente parlare del delicato e carente tema del “diritto alla salute” per detenuti e detenute. Un tema etico e giuridico particolare per molteplici ragioni.

In primo luogo perché la popolazione detenuta rappresenta un gruppo ad alta vulnerabilità, il cui livello di salute, ancor prima dell’entrata in carcere, è mediamente inferiore a quello della popolazione generale. In secondo luogo, considerato anche quanto ci viene detto dagli organismi internazionali, il diritto alla salute soprattutto in carcere non si esaurisce nell’offerta di prestazioni sanitarie adeguate: particolare attenzione deve essere prestata alle componenti ambientali, assicurando ai detenuti/e condizioni di vita accettabili, che permettano una vita dignitosa e pienamente umana. Pertanto, problemi quali il sovraffollamento, l’inadeguatezza delle condizioni igieniche, la carenza di attività e di opportunità di lavoro e di studio, la difficoltà a mantenere le reazioni affettive, sono da considerarsi ostacoli determinanti nell’esercizio del diritto alla salute.

Recentemente abbiamo dovuto prendere conoscenza del crescente numero di suicidi in carcere. Fatti tragici che ancora maggiormente ci portano ad affrontare i vari aspetti della salute in carcere. Il diritto alla salute rappresenta per i detenuti/e il primo dei diritti che condiziona il soddisfacimento di altri; e all’inverso che il godimento dei più elementari diritti umani condiziona lo stato di salute. La prigione è un luogo di “contraddizione”: contraddizione fra l’affermazione del diritto alla salute dei detenuti e le esigenze di sicurezza; fra le norme secondo cui le istituzioni devono garantire gli standard igienico sanitari previsti dalla normativa vigente e le reali condizioni di vita delle celle sovraffollate; fra il significato della pena basato sulla responsabilità individuale e la concentrazione in carcere di un numero crescente di persone che appartengono agli strati più deprivati della popolazione; fra il diritto alla salute di qualsiasi detenuto e un carcere che produce sofferenza e malattia. Sono queste alcune delle ragioni che chiamano alla responsabilità etica e giuridica nei confronti dei detenuti/e in quanto gruppo ad alta vulnerabilità bio-psicosociale.

Quando parliamo del problema sicurezza e su questo poniamo l’accento, importante è che la contraddizione sia sempre presente alle istituzioni che si occupano della salute. Ma anche le istituzioni che presiedono alla sicurezza devono esserne pienamente consapevoli, in modo da esercitare la loro azione avendo chiaro il limite rappresentato dal rispetto dei diritti fondamentali delle persone detenute.

Dal governo, consapevole di questa contraddizione, dipende la realizzazione o meno del bene salute, facendo sì che questo non sia nei fatti vanificato in nome di una logica preponderante di sicurezza. Pertanto, quando sentiamo parlare uomini politici influenti che intendono favorire l’adozione di nuovi strumenti per migliorare le condizioni dei reclusi, decongestionare gli istituti di pena e arginare la macabra scia dei suicidi, non possiamo non raccomandare di prestare attenzione affinché un settore così delicato come quello del diritto alla salute dei detenuti/e sia inteso nella sua piena accezione al fine di raggiungere un effettivo riequilibrio dei livelli di salute dentro e fuori le mura, ben oltre la garanzia dell’uguaglianza di accesso alle prestazioni sanitarie.

Il fondamento della salute del detenuto è l’essere trattato con dignità e rispetto nella piena osservanza di diritti umani fondamentali. Fra questi il diritto ad essere curato fuori dal carcere quando la detenzione aggravi la sofferenza nell’infermità e allontani la possibilità di una guarigione. È bene ricordare che la riforma della sanità penitenziaria non si esaurisce nel passaggio delle competenze dallo staff penitenziario a quello sanitario. In coerenza con un approccio globale alla salute, le autorità sanitarie avrebbero dovuto prendere pienamente in carico il controllo sulle condizioni igieniche degli istituti, lo stato dei servizi, le condizioni di vita dei detenuti, la sopportabilità del regime carcerario. Di contro, nella materialità della detenzione permangono sostanziali criticità che ostacolano una piena affermazione dell’equivalenza delle cure, principio cardine della riforma stessa.