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Le istituzioni democratiche si difendono coltivando la memoria su quanto è accaduto in un passato che può tornare, in modo mascherato e sotto forme diverse, ma non per questo meno pericoloso.
Sono passati cento anni dal sacrificio di un uomo che, in solitudine, si oppose con tutto se stesso al fascismo, riconoscendo il suo volto più feroce prima di altri. Pagando con il prezzo della sua stessa vita. Un personaggio dall’indomita passione per la libertà, dall’impronta riformista, con il rigore morale del rifiuto di ogni populismo e la postura civile della lotta alla demagogia e alla violenza del fascismo. Il suo nome era Giacomo Matteotti ed era un socialista. Nel 1924 moriva un uomo. Oggi, cento anni dopo, nasce un simbolo. Perché assume un valore straordinario che il Pse, che oggi tiene a Roma il congresso che designerà lo Spitzenkandidat per le elezioni europee, insieme al Pd, abbia celebrato la memoria del martire antifascista. Insieme a Elly Schlein, Stefan Lofven, Nicolas Schmit, Iratxe Garcia Perez, Giacomo Filibeck, abbiamo mandato un messaggio univoco: Matteotti non è solo un simbolo per la sinistra italiana – sarebbe un errore confinarlo in un passato polveroso – ma tutti insieme abbiamo riconosciuto la dimensione europea di coloro che combatterono le dittature nel 900. Un esempio di quello che dobbiamo fare oggi e nel futuro: lottare contro i totalitarismi che stanno tornando e che rischiano di prendere piede anche in Italia, il Paese più importante d’Europa che oggi è guidato da un governo che assume tratti sempre più illiberali. Una destra che è contro l’Europa ma pretende di governarla. Che preferisce i manganelli alla libera espressione del pacifico dissenso, che occupa gli spazi dell’informazione pubblica a proprio piacimento. Che esprime un presidente del Consiglio vicino ad Orbàn e Zimmour, un vicepremier che guarda a Putin e che esalta Le Pen e l’Afd tedesca, una destra, insomma, che sacrifica sull’altare del nazionalismo esasperato, il ruolo politico e diplomatico dell’Italia che ha sempre minore peso. Il gesto di oggi è più significativo che mai, perché le elezioni europee che chiamano al voto il prossimo 10 giugno - proprio l’anniversario del martirio di Matteotti- vedono contrapposti due modelli di società: quello che vuole proiettare nel futuro lo stato sociale di stampo socialdemocratico che ha caratterizzato le nostre società fino a oggi, e quello che vuole portare indietro le lancette dell’orologio al tempo degli stati nazionali, all’isolazionismo, agli egoismi. Il nucleo forte dell’idea di Europa è in quegli ideali di libertà, eguaglianza e fratellanza da cui nasce la nostra modernità. L’Europa è la terra che ha saputo coniugare la libertà di espressione con la libertà dal bisogno. Sta adesso al centrosinistra italiano e a tutti i movimenti democratici e liberali che in Italia condividono lo stesso sentimento europeista, fare fronte comune, con un’alleanza per salvare l’Europa dal rischio di un’Internazionale nera che la vedrebbe nel ruolo di vassallo delle grandi potenze internazionali.
Per il centrosinistra italiano, è arrivato il tempo di riscrivere una storia nuova. Il risultato della Sardegna ha fatto scricchiolare quella robusta e spregiudicata macchina di potere centrale, guidata da una leader sempre più arrogante, con la presunzione di onnipotenza. Ma soprattutto, si può creare una sorta di effetto domino – se non un effetto valanga - che quel che fino a poche settimane fa sembrava impossibile, cioè strappare una regione che era governata dalla destra, oggi sembra meno proibitivo anche per l’Abruzzo e ancora subito dopo per la Basilicata, fino alle Europee.
Ma è un momento storico cruciale che impone responsabilità, coesione, condivisione di valori comuni. Questa volta per davvero.