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Col ddl sul legittimo impedimento del difensore, approvato poco più di due mesi fa, abbiamo assistito a un evidente passo avanti per quel che riguarda i diritti degli avvocati. Questo provvedimento nasceva con la più nobile intenzione di riconoscere e tutelare il diritto degli avvocati a svolgere il proprio ruolo senza pregiudicare il diritto di difesa dei cittadini.
Con il ddl si estende la possibilità di ottenere il rinvio dell’udienza penale per motivi legati alla salute dei figli o dei familiari dell'avvocato, garantendo una maggiore attenzione alle esigenze personali e familiari. Inoltre, lo stesso introduce la remissione in termini nel processo civile e la possibilità di rinvio delle udienze per cause di forza maggiore, malattia improvvisa, infortunio, gravidanza o per la necessità di assistenza ai figli e familiari con disabilità o affetti da gravi patologie.
Ecco allora che la vicenda della Collega avv. Federica Tartara fa storcere il naso: quest’ultima è stata, purtroppo, protagonista di una storia che ha del paradossale. All’ottavo mese di gravidanza, si è vista diniegare dal Tribunale di Venezia il rinvio di un'udienza per legittimo impedimento e, se possibile, a colpire ancora più negativamente e che il giudice che glielo ha negato è anch'ella una donna.
A tre settimane dal parto, una trasferta da Genova, dove vive l'avvocato Tartara, a Venezia è controindicata e non serve un luminare della neonatologia per comprenderlo. Nell'esposto presentato dalla Collega al Csm viene giustamente ribadito che è assolutamente incontestabile il diritto del difensore in stato di gravidanza di ottenere un rinvio dell'udienza per legittimo impedimento nei due mesi antecedenti il parto e nei tre mesi successivi, come recita il nostro stesso codice di procedura penale all'art. 420 ter comma 5 bis.
Andando oltre le motivazioni giuridiche, il giudice che ha negato il legittimo impedimento all'avvocato Tartara, ha palesato una certa mancanza di empatia, per così dire. È inevitabile domandarsi cosa sia andato dunque storto in quello che sembrava essere l’inizio di un percorso per il riconoscimento di un diritto fondamentale tanto per gli avvocati, ma forse, ancor di più per i loro Assistiti.
L’istituto, si sa, presenta risvolti molto delicati, acuiti peraltro dalla sua considerevole incidenza pratica, collocandosi, tra tensioni contrapposte: l’effettività della difesa tecnica da lato e la speditezza del processo, dall’altro. Il disposto prescrittivo generico e l’assenza di un pregresso applicativo di riferimento dato il carattere inedito dell’istituto, sconosciuto al codice Rocco, hanno lasciato ampio “spazio di manovra” al Giudice di legittimità nel lavoro di definizione contenutistica della garanzia.
Riconoscere e rispettare le esigenze personali e familiari dei difensori è fondamentale perché quest’ultimi possano svolgere e, conseguentemente, garantire un esercizio sereno della professione, evitando che eventuali situazioni personali provochino effetti negativi sulla posizione della parte.
Al contempo, questi i valori si contrappongono alla necessità della speditezza del processo e all’affermazione della giurisdizione. Nonostante però la coesistenza dei predetti principi risulti complicata è del tutto inaccettabile che, come nel caso dell’avvocato Tartara, il professionista sia costretto a dover scegliere tra la propria salute e il proseguimento di un procedimento.