Il ddl Sicurezza, approvato dalla Camera dei Deputati il 18 settembre scorso, infine, contiene altre previsioni penalizzanti nei confronti degli immigrati che, se non in possesso di permesso di soggiorno, non potranno acquistare carte Sim. Tale ddl sarà prevedibilmente convertito in legge dal Senato, ma si può essere sicuri che non sarà l’ultimo provvedimento anti-immigrati: il governo in carica, infatti, può vantare un record in quanto, sin dai suoi primi passi, è intervenuto a pioggia sulla giustizia con una quantità di provvedimenti che non ha eguali nella nostra storia recente e tra questi si distinguono, oltre la cancellazione dell’abuso d’ufficio e il ddl con cui si vuole introdurre in Costituzione la tremenda impostura della separazione delle carriere, leggi e decreti nel campo dell’immigrazione.

Ma quali sono stati gli effetti di questa normativa sui diritti umani? Definirli “disastrosi” è restrittivo. Il tema dell'immigrazione richiede certo particolare attenzione ma per contrastarne i pur esistenti profili di illegalità non si può fare perennemente ricorso a norme emergenziali: gli ordinamenti democratici, anche in situazioni difficili, non possono neppure occasionalmente tradire i principi su cui si fondano. I provvedimenti varati in tema di immigrazione negli ultimi anni hanno peraltro determinato in Italia una evidente tendenza alla criminalizzazione delle navi e imbarcazioni delle Ong che, quando operano senza ostacoli e limitazioni, salvano vite umane in numero elevatissimo. Il populismo dilagante, che riflette lo spirito del tempo, ha indotto a definirle “taxi del mare” o “pull factor” e gli equipaggi delle navi che operano per le Ong sono stati accusati di essere responsabili di favoreggiamento dell’immigrazione clandestina o di associazione per delinquere finalizzata al traffico di essere umani. Queste ultime accuse presupporrebbero che i responsabili delle Ong stabiliscano accordi con i cd. “scafisti”, ipotesi risultata priva di qualsiasi fondamento, al pari di quella secondo cui i terroristi, celandosi tra gli immigrati, potrebbero utilizzare quella via per giungere in Occidente e compiervi attentati.

Si tratta di una massa di insulti che vanno respinti anche perché frutto di ignoranza di chi non conosce gli obblighi di salvataggio e le norme del codice penale italiano che non consentono la punizione di chi ha agito in stato di necessità o nell’adempimento di un dovere. La tesi prevalente è diventata allora un’altra: pur in assenza di accordi criminali, la sola presenza in Mediterraneo delle navi delle Ong spingerebbe i trafficanti di esseri umani a imbarcare i migranti in Africa e poi a lasciarli in mare, magari simulando naufragi di imbarcazioni insicure, dove potrebbero essere salvati. Ma anche in tal caso non pare in alcun modo possibile pretendere che le navi delle Ong si astengano dal soccorrere i naufraghi o che sia loro vietato navigare nel Mediterraneo o, ancora, che ne sia ridotto drasticamente il numero. Tutto ciò equivarrebbe a teorizzare crudeltà e insensibilità rispetto al dovere di soccorso. Dunque, fermo restando che chiunque risulti responsabile di reati deve essere perseguito con la massima determinazione, l’attività di soccorso in mare delle Ong merita gratitudine da parte di ogni cittadino.

Non può insomma accettarsi un panpenalismo di matrice populistica per cui “tutto diventa reato in nome dell’ordine” e le pene aumentano anche per condotte quasi irrilevanti mentre si trascurano le condizioni di vita in carcere o quelle di “detenzione amministrativa” nei Cpr (Centri di permanenza per i rimpatri), già oggetto di condanne in sede europea. Piuttosto, occorre preoccuparsi dell’effetto delle tante leggi nazionali prima citate, quello della crescente xenofobia che si va diffondendo anche in Italia (e non solo), tale da favorire ripetute violazioni del diritto-dovere di solidarietà. Lo stesso Presidente della Repubblica Mattarella ha più volte lanciato l’allarme ricordando tra l’altro che “il veleno del razzismo continua a insinuarsi nelle fratture della società e in quelle tra i popoli. Crea barriere ed allarga le divisioni. Compito di ogni civiltà è evitare che si rigeneri”( Corriere della Sera, 26.7.2018).

La politica dei «porti chiusi ai migranti», comunque la si voglia giustificare, è esempio di prassi non conformi alla legge, al pari del mantenere per giorni e giorni persone bloccate su una nave italiana o straniera, prima in alto mare, poi in prossimità del porto ed infine nel porto. Ogni limitazione della libertà, come si è detto, è possibile a seguito di provvedimento motivato dell’A.G. e, se interviene su iniziativa di organi di polizia, prevede l’immediato controllo giurisdizionale.

Il caso Khlaifia + altri contro Italia lo conferma: il 15 dicembre 2016 l’Italia fu condannata dalla Grande Camera della Corte dei diritti umani di Strasburgo perché per ovviare alla saturazione di Lampedusa, i migranti vennero “ospitati” in alcuni centri di soccorso e poi su alcune navi della Moby Line, per più di 48 ore, senza vedere un giudice e senza una serie di altre garanzie. I migranti non potevano scendere dalle navi. La Corte qualificò quel “trattenimento” come privazione della libertà personale senza base legale». Tornando brevemente al processo Open Arms e senza venir meno alla scelta di non esaminare il merito delle accuse di sequestro di persona aggravato e di rifiuto di atti d’ufficio elevate a carico del ministro Salvini, va precisato che i pm di Palermo, in data 14 settembre 2024, hanno depositato dinanzi al Tribunale una memoria scritta a sostegno della loro richiesta di condanna. Si tratta di una memoria molto articolata in cui, come si è tentato anche qui di fare, viene ricostruito il complesso ed articolato quadro giuridico interno ed internazionale in tema di disciplina dell’immigrazione (Parte I), vengono poi ricostruiti i fatti oggetto del processo (Parte II) ed infine esaminati i reati contestati per dimostrarne la sussistenza. Soprattutto la prima parte dovrebbe essere attentamente letta da chi – anche rivestendo importanti cariche istituzionali – ha duramente messo in dubbio la correttezza dell’operato dei magistrati che hanno sostenuto l’accusa. È legittimo criticare chiunque e che l’imputato proclami ripetutamente la propria innocenza, pur affermando che la

sua condotta era finalizzata alla difesa degli italiani e dei confini del nostro Paese, che evidentemente riteneva minacciati da 147 migranti di cui 32 minorenni raccolti in mare nell’agosto del 2019 dalla Open Arms. Più discutibili, invece, sono l’auspicio di una manifestazione in suo sostegno dinanzi al Palazzo di Giustizia di Palermo e che affermi che comunque non si dimetterà in caso di condanna. Ma non è accettabile che leaders politici con ruoli istituzionali ignorino il principio costituzionale della separazione dei tre poteri dello Stato, sostenendo perfino che ai magistrati non spetta in alcun modo interpretare le leggi, ma solo applicarle secondo le scelte politiche che ne costituiscono la base. E a suo tempo, lo stesso Matteo Salvini, quando era ministro dell’Interno, invitò i giudici ad applicare le leggi in materia di immigrazione senza rilievi critici, salvo “scendere in politica”. Marginali, ma espressione del clima che si vive, sono poi il plauso di Viktor Orban e l’auspicio che sia “quel folle pm di Palermo ad andare in carcere per sei anni” formulato da mr. Musk, ormai più famoso del mitico muschio islandese.

Tutto però rimanda ad una domanda: quali sono i doveri della magistratura in casi come quello in discussione a Palermo? E rimanda anche a quanto si discusse in Senato a proposito del caso Diciotti (un’operazione di soccorso e salvataggio di 190 migranti, eseguita dalla Guardia costiera italiana il 15 agosto 2018 e poi conclusa, con lo sbarco di tutti gli extracomunitari tratti in salvo, solo il successivo 25 agosto), in relazione alla domanda di autorizzazione a procedere in giudizio nei confronti dell’allora ministro dell’Interno Salvini, per il reato di sequestro di persona aggravato. Anche in quella occasione Salvini sostenne che ogni sua azione aveva avuto esclusivamente una finalità di pubblico interesse e che non si era in presenza di una sua mera personale iniziativa politica, bensì di una iniziativa del governo, conforme a una precedente prassi. In data 20 marzo 2019 il Senato, contrariamente a quanto avvenuto il 30 luglio 2020 con il caso Open Arms, negò a maggioranza assoluta dei suoi componenti (237 contro 61, nessun astenuto), l’autorizzazione a procedere in giudizio nei confronti del ministro, avendo ritenuto che “con valutazione insindacabile, l’inquisito abbia agito per la tutela di un interesse dello Stato costituzionalmente rilevante ovvero per il perseguimento di un preminente interesse pubblico nell’esercizio della funzione di governo”.

Anche in quel caso si fece riferimento al rischio che tra i migranti a bordo della Diciotti potessero esservi terroristi, ma tale affermazione non trovò riscontro e, comunque, le ragioni di ordine pubblico e di tutela della sicurezza addotte in quel caso ed in quello Open Arms non possono essere addotte in modo generico ed insufficiente, in quanto si tratta di circostanze che, invece, devono essere indiscutibilmente dimostrate. Tra l’altro, l’avere agito a seguito di una scelta politica individuale o dell’intero governo, a parere di chi scrive, non può giustificare la mancata procedibilità penale nei confronti di un ministro: una decisione simile violerebbe i principi di obbligatorietà dell’azione penale e di eguaglianza dei cittadini di fronte alla legge.

“L’Italia è uno Stato di diritto e le scelte politiche del governo in ordine alla gestione dei flussi migratori e dell’accoglienza dei richiedenti asilo o protezione internazionale devono esprimersi con modalità conformi ai diritti fondamentali della persona quali riconosciuti dalla Costituzione e dalla Convenzione Edu” Si tratta di un’affermazione presente in una delibera del Consiglio dell’Ordine degli avvocati di Milano, inoltrata il 4.2.2019 al presidente del Consiglio dei ministri. Su analoghe posizioni è attestata la stragrande maggioranza di altri organismi ed associazioni di giuristi che, come la Corte di Cassazione, hanno più volte auspicato il rispetto dei diritti fondamentali delle persone nelle iniziative dei pm e nelle sentenze dei giudici riguardanti questo settore. Così deve essere, pur se inevitabilmente non mancherà chi accuserà la magistratura di forzare l’interpretazione delle leggi e di violarle in nome di opzioni politiche, ma i magistrati conoscono i loro doveri e, specie nella stagione del populismo, devono interrogarsi, sulla conformità delle leggi che applicano alla Convenzione europea per la tutela dei diritti dell’uomo ed alla Costituzione. Non tutto si giustifica in nome della sicurezza che non può certo vincere sui diritti fondamentali. Altrimenti, come l’ha definita Carlo Bonini, dovremmo parlare di “sicurezza immorale”. Ma la difesa dei diritti fondamentali deve costituire ragione di impegno anche per coloro che esercitano funzioni politiche: al di là degli schieramenti di appartenenza, si deve da loro pretendere di non alimentare sentimenti estremi e logiche populistiche! L’Europa, a sua volta, si impegni nel coinvolgere tutti gli Stati che la compongono nelle attività di accoglimento ed in quelle conseguenti, vincendo la resistenza di quanti vi si oppongono: un piano europeo in proposito deve essere effettivo e concreto, visto che la semplice programmazione non basta. Solo in tal modo l’Ue riacquisterebbe autorevolezza e il rispetto dei popoli.

L’impegno civile nella società in cui viviamo, infine, deve contribuire a promuovere nell'opinione pubblica, un costante sostegno all’attività di salvataggio in mare, che solleciti e accompagni il ripristino di un efficace sistema istituzionale di ricerca e soccorso. Ciò al fine di affermare, ancora una volta, il senso di una condivisa responsabilità universale che fonda il diritto al soccorso e l’intero sistema dei diritti umani (così il Comitato per il diritto al soccorso, costituito alla fine del 2020, su iniziativa di otto Ong protagoniste di innumerevoli salvataggi nel Mediterraneo).