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Russian President Vladimir Putin attends a meeting with acting governor of Tula Region Dmitry Milyaev at the Novo-Ogaryovo state residence, outside Moscow, Russia, Thursday, Aug. 15, 2024. (Gavriil Grigorov, Sputnik, Kremlin Pool Photo via AP) Associated Press/LaPresse
Fino a dove può spingersi la libertà di espressione sulle piattaforme digitali? L'arresto da parte delle autorità francesi, sabato 24 agosto, del fondatore e amministratore delegato della messaggistica di Telegram, Pavel Durov, all'aeroporto Ile-de-France di Le Bourget (Seine-Saint-Denis), rilancia un dibattito molto meno semplicistico di quanto sembri, ed essenziale per il moderno ordine democratico.
Pavel Durov, 39 anni, difende un approccio libertario a questa questione, che spiega in parte la sfortunata situazione in cui si trova. Alla guida di una piattaforma che riunisce quasi un miliardo di utenti, rifiuta, in nome di un'opposizione di principio alla censura, i metodi di moderazione dei contenuti applicati dalla maggior parte delle altre piattaforme. Per gli stessi motivi finora si è astenuto dal rispondere volontariamente alle domande delle autorità di regolamentazione di vari paesi.
Questo atteggiamento ha reso Telegram un sistema di messaggistica a doppio taglio: prezioso per gli oppositori che possono così comunicare al riparo dalla sorveglianza di regimi dittatoriali, è anche provvidenziale, perché criptato, per pedofili, criminali, cybercriminali e terroristi di ogni tipo, liberi di espandere le proprie reti senza preoccuparsi. È questa seconda dimensione che spiega l'arresto del signor Durov, che la giustizia francese ha voluto interrogare sui reati commessi su Telegram contro le leggi che puniscono la frode, il traffico di droga, le molestie informatiche, la criminalità organizzata e l'apologia del terrorismo. Il fatto che la sua custodia di polizia iniziale di 24 ore sia stata estesa domenica a 96 ore suggerisce che sono i reati più gravi a interessare gli investigatori.
IN contrasto con il potere russo
La vicenda scuote il mondo della comunicazione digitale, dove simpatizzanti della linea di Pavel Durov, come Elon Musk, boss della rete X (ex Twitter), hanno denunciato una violazione della libertà di espressione. Costituisce anche un importante test giuridico e politico per l’Unione Europea, che negli ultimi anni è diventata paladina della regolamentazione democratica delle piattaforme digitali. Particolarmente esposti al terrorismo e alle campagne di disinformazione che cercano di destabilizzare le democrazie, i paesi europei sono costretti a rafforzare la propria vigilanza, nel rispetto dello stato di diritto.
Per fare questo, l’UE ha dovuto scontrarsi con i colossi americani, imbevuti della cultura del Primo Emendamento della Costituzione degli Stati Uniti che garantisce la libertà di espressione e del liberalismo della Silicon Valley – anch’essi desiderosi di preservare la loro capacità di innovazione e i loro immensi profitti. Volenti o nolenti, hanno accettato il dialogo e hanno finito per aderire alle restrizioni imposte dal Digital Services Act, il regolamento europeo sui servizi digitali adottato nel 2022.
Solitamente poco loquace, Pavel Durov è un caso a parte; è fuggito dalla Russia nel 2014 subito dopo aver creato Telegram, in conflitto con il potere russo sul servizio di messaggistica VKontakte fondato con suo fratello. Da allora ha acquisito diverse nazionalità, quella dello stato caraibico Saint Kitts e Nevis, quella degli Emirati Arabi Uniti e più misteriosamente, nel 2021, la nazionalità francese.
Vive a Dubai, dove ha fondato il quartier generale di Telegram, e Forbes stima la sua fortuna in 15 miliardi di euro. Telegram è ampiamente utilizzato in Russia, anche dal governo, che ha protestato contro l'arresto del signor Durov. Forse bisognerebbe ricordare al Cremlino che in Europa nessuno può ignorare la legge.