Che il decreto Sicurezza sia tra i peggiori prodotti della legislatura è chiaro da tempo. L’Unione Camere penali è arrivata a proclamare tre giorni di “sciopero” – 5, 6 e 7 maggio – per denunciarne i “molteplici sproporzionati e ingiustificati aumenti di pena”, la “introduzione di nuove ostatività per l’applicazione di misure alternative alla detenzione” e il “consequenziale aumento della popolazione carceraria”.

Il tutto confezionato sotto forma di decreto legge, appunto, per le ormai note esigenze di mediazione con la Lega, che grazie ai rilievi del Colle è stata costretta a rinunciare alle norme più feroci, ma che ha poi preteso in cambio l’istantanea entrata in vigore delle altre misure contenute nell’originario ddl. L’indignazione dei penalisti come il disappunto dell’Associazione dei professori di Diritto penale sono comprensibili, e sorretti da una certa coerenza.

Ma è la durezza del comunicato diffuso dall’Anm a lasciare un po’ interdetti. Il sindacato delle toghe cita le altre voci critiche e censura a propria volta l’abuso della decretazione d’urgenza, l’“apparato normativo che non si concilia facilmente con i principi costituzionali di offensività, tassatività, ragionevolezza e proporzionalità”. Rare volte, in passato, l’Associazione magistrati si era inalberata con tanta severità per il ricorso ai decreti legge e, soprattutto, per l’inasprimento delle sanzioni.

Persino in occasione del ddl sul femminicidio, voci autorevoli dell’ordine giudiziario, come il presidente del Tribunale di Milano Fabio Roja, avevano condiviso la linea del governo. Ma ora l’Anm intende cogliere ogni occasione per mettere in difficoltà l’Esecutivo. Vuole restare protagonista del dibattito sulla giustizia e antagonista della maggioranza in tutte le partite possibili. Punta cioè a occupare stabilmente il centro della scena come se fosse un partito d’opposizione.

È la prospettiva da cui l’Anm avrà più chance di ottenere la vittoria del No al referendum sulle carriere separate. Unico, vero, irrinunciabile obiettivo della strategia togata. Dimostrano, oltretutto, i magistrati di avere ornai sviluppato un talento per il protagonismo mediatico che va oltre la collaudata centralità dei pm nella spettacolarizzazione delle inchieste.

Lo si è già scritto ed è il caso di ripeterlo: così Meloni, Nordio e Mantovano rischiano di perderla, la sfida della riforma. E di lasciare alle toghe un primato che, a quel punto, sarà inattaccabile per chissà quanto altro tempo.