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Daniele Leone/LaPresse
Nei giorni scorsi la madre di Navalny aveva chiesto a Putin il corpo del proprio figlio. Viene subito in mente la scena, magistralmente descritta nell’Iliade, di Priamo che chiede ad Achille, pregandolo, di restituire il corpo di Ettore. Certo vi sono molte differenze, Navalny è un dissidente, Ettore è a capo dell’esercito nemico, ma ciò che colpisce è la straordinaria dignità di due genitori che chiedono rispetto del proprio dolore e del corpo di chi non c’è più. L’Iliade rimane impressa soltanto a coloro che la amano e spesso la rileggono, le vicende di questi giorni rimangono invece impresse a tutti, nessuno escluso. Quanto avvenuto nei giorni scorsi nella lontana Siberia ci riporta immediatamente al 10 giugno 1924 ovverosia al rapimento e l’uccisione di un altro dissidente: Giacomo Matteotti. È giusto lasciare agli storici, perché sono gli unici competenti a farlo, il compito di delineare la figura dell’uomo politico socialista e del suo valore anche come persona che in un momento particolarmente terribile della nostra storia non esitò a parlare di libertà e Un uomo senz’altro controverso, socialista convinto, ma di famiglia di notevole consistenza economica e questa situazione veniva sottolineata dai suoi stessi compagni di partito.
Non interventista convinto rispetto all’entrata in guerra del nostro paese nel 1915 e tuttavia non compreso fino in fondo e definito addirittura austriacante poiché originario di una zona del Trentino che era stato territorio asburgico.
Difficile tuttavia, se non addirittura impossibile, anche soltanto pensare di criticare il discorso di Matteotti, del 30 maggio 1924, alla Camera dei Deputati: non solo l’intervento è lucido e coerente, ma mostra un coraggio, un fegato come si suol dire, nel denunciare le irregolarità in tutte le circoscrizioni delle elezioni politiche proprio per la mancanza di libertà di scelta da parte dei cittadini. Il voto non era stato libero.
Ovvio che tali principi – libero voto ed elezioni democratiche sono di grandissimo valore per un giurista e quindi per un avvocato, ma a questi ultimi interessa anche altro di Giacomo Matteotti, quello che forse si ricorda poco o, addirittura, si è completamente dimenticato.
Più precisamente interessa il suo percorso giuspenalistico con particolare riferimento allo studio della recidiva oggetto della sua tesi di laurea e di una monografia che altro non è che una sostanziale rielaborazione della tesi medesima.
La vicenda è narrata in un bellissimo libro del Prof. Paolo Passaniti il quale sottolinea il pensiero riformista di Giacomo e si sofferma, in maniera davvero straordinariamente puntuale, sull’evoluzione del pensiero giuridico tra la tesi e la monografia arricchita anche dagli esiti di un’intensa attività di studio all’estero.
Può sembrare perfino strano ma nonostante si fosse nel periodo di vigenza del codice penale Zanardelli, in vigore dal 1890, l’attuale codice penale Rocco avrebbe visto luce dopo diversi anni, le argomentazioni sulla recidiva sono, come giustamente rileva il Prof. Passaniti, ancor oggi estremamente interessanti e di indubbia attualità proprio perché finalizzate ad evitare che i recidivi divengano addirittura incorreggibili. Un giurista dei nostri giorni non può che apprezzare questo pensiero non foss’altro perché, com’è noto, la nostra Costituzione impone pene che siano tali da tendere alla rieducazione.
Allora non è poi così difficile, anche per chi storico non è, comprendere la cifra dell’uomo: un democratico, un giurista sicuramente brillante, un coraggioso ed un uomo di pensiero.
L’eredità, non l’unica probabilmente, più grande di Giacomo Matteotti, sta proprio nel suo pensiero e a ben vedere anche nel coraggio della dissidenza che è un valore per tutti coloro che sono venuti dopo di lui e anche per i nostri giovani.
Ecco perché è opportuno rileggere con calma, ed anche con profonda ammirazione, il discorso alla Camera dei Deputati. In quelle parole, giuristi e non giuristi, troveranno il valore della denuncia coraggiosa di un dissidente di 100 anni orsono. Infine come non ricordare che tutti coloro che hanno avuto modo di studiare il primo processo ai mandanti e agli assassini materiali, svoltosi a Chieti nel 1926, lo ritengono sideralmente e irrimediabilmente lontano anche da un semplice simulacro del giusto processo.
Il Prof. Canali, in altro volume che si legge tutto d’un fiato, dedicato proprio al delitto Matteotti, ricostruisce in maniera ineccepibile la responsabilità dell’allora capo del Governo che si desume da molteplici elementi di prova e soprattutto da quello che avvenne nei giorni successivi al rapimento di Matteotti.
Solo nel 1947, finalmente, come ricorda il Prof. Canali in questo bel volume, vi fu un processo degno di questo nome che portò a significative condanne per coloro che erano ancora in vita in quanto molti dei protagonisti erano ormai deceduti.
Chissà se anche sotto questo aspetto può rinvenirsi un legame tra quanto accaduto 100 anni orsono e i fatti siberiani di questi giorni: la speranza è che la chiarezza su quanto accaduto a Navalny non avvenga con così tanto ritardo come lo fu per Matteotti il cui corpo, è bene ricordarlo, fu rinvenuto dopo più di due mesi dall’assassinio; anche questo è da rimarcare perché è uno spregio che l’uomo davvero non meritava.