Dopo la vicenda Toti il governo vuole ridurre l’uso o l’abuso della custodia cautelare. Nobile intento, peraltro in linea con quanto richiede da anni l’avvocatura, ma non può non rilevarsi l’anomalia di una proposta che proviene da chi ha dimostrato, con l’ultimo decreto carceri, che è del tutto disinteressato a risolvere il problema delle condizioni disumane, e dei correlati suicidi, nelle quali si trova chi vive in carcere, comprese le guardie penitenziarie. A fronte di ciò, viene da chiedersi a quale visione della giustizia penale risponde un approccio così diverso rispetto a principi gemelli quali il rispetto della dignità umana e della libertà personale.

L’anomalia in realtà sta nel metodo, in quanto non è la singola modifica o innovazione che può lasciare il segno, al contrario la giustizia penale ormai da anni ha disperato bisogno di un intervento complessivo di riforma che la renda sostenibile. E infatti, se è vero che ridurre il numero dei processi, la durata degli stessi, eliminare la disumanità della detenzione in carcere, sono le priorità che ci segnala con insistenza l’Europa da circa 15 anni, si deve prendere atto che i risultati prodotti da interventi normativi isolati sono incredibilmente opposti a quelli auspicati.

La riforma Cartabia del 2022, per certi versi positiva, è stata purtroppo il frutto evidente di compromessi che ne hanno limitato la portata, spesso con prevalenza di logiche economiche a detrimento dei diritti dell’accusato. Quindi, i problemi sono insoluti, acuiti dal ridotto numero di magistrati, nel Sud Italia gli organici sono scoperti, e dal numero enorme di reati previsti dalla legislazione.

A distanza di due anni, un primo bilancio dell’operato del governo di centrodestra, che pur ha il merito di avere introdotto alcune modifiche volute dall’avvocatura - non ultime quelle in tema di intercettazioni, anche con riferimento ai colloqui tra difensore e assistito, e applicazione della custodia in carcere a opera di un collegio di giudici - è a tinte chiaro - scure, con prevalenza di queste ultime, se è vero che molte delle riforme attuate sono contrarie rispetto allo sbandierato iniziale proposito di ridurre il numero di reati e realizzare un diritto penale minimo.

La schizofrenia e contraddittorietà delle modifiche legislative attuate sembra ormai la regola. Tanto per esemplificare, da un lato si sbandiera l’avversione alla custodia cautelare in carcere, dall’altro si alzano incredibilmente le pene con l’effetto di consentire la stessa anche per reati per i quali in precedenza era esclusa. Come se non bastasse, il governo, sull’onda della emotività e delle tendenze populiste, introduce costantemente nuovi reati e circostanze aggravanti.

L’uso distorto del diritto penale è evidente se si considera che a ogni devianza sociale, esaltata da fatti di cronaca, corrisponde un intervento sulla normativa penale. Vi è il disagio giovanile, ecco pronto il decreto Caivano che innalza le pene e consente l’arresto dei minori in un numero maggiore di casi. Stessa logica per contrastare la violenza di genere, la criminalità, i furti, ecc..

E qui sta l’inganno! Mai i problemi della giustizia penale potranno trovare soluzione fino a quando si veicolerà l’idea che il processo penale serve per debellare i mali della società, con la conseguenza che si radica la falsa convinzione che maggiore sarà il numero dei reati e dei processi, migliore sarà la società in cui viviamo. Al contempo, mai i fenomeni devianti saranno debellati se lo strumento di lotta sarà affidato alla giustizia penale, anziché a interventi che tendano a modificare la società.

In definitiva, la distorta visione che eleva il diritto penale a panacea dei mali sociali impedisce qualunque riforma sistemica e le isolate positive modifiche normative vengono azzerate da altre che rispondono a irrefrenabili spinte populiste. Ma allora, prima di pensare a riformare la giustizia dovremmo interrogarci sul ruolo da assegnare al diritto penale e sul modello che si vuole realizzare, anche perché le continue contraddizioni alle quali assistiamo, non ultima lo sbandierare la necessità di riforme per limitare la custodia cautelare in carcere e, al contempo, non fare nulla per eliminare le condizioni disumane di chi è detenuto, non rendono credibile la complessiva azione riformatrice in materia di giustizia penale.