PHOTO
«Se davate retta a me co' tre quarti d'ora stavamo a Ovindoli...». Chissà se Rita De Crescenzo, ormai assurta dalle cronache a tiktoker più famosa dello Stivale, ha fatto tesoro delle parole immortali pronunciate da Mario Brega nel padre di tutti i cinepattoni, per additare la prossima meta della gita extra-large che ha fatto tanto scalpore a Roccaraso.
Ma anche se quest'ultima non conoscesse a menadito la sceneggiatura di “Vacanze di Natale”, non sarebbe opportuno parlare di coincidenza poiché, per motivi apparentemente insondabili, in Italia l'unica lotta di classe degna di questo nome che sia stata mai combattuta - e che a quanto pare è ancora in corso – ha per sfondo sempre un paesaggio innevato e delle piste da sci.
In principio fu l'astio degli aristocratici snob per i parvenus che osavano violare i santuari della vacanza d'élite sconvolgendo un senso di esclusività che si voleva perenne, poi fu la lotta tra piccolo borghesi per essere ammessi alla mensa del jet set. Fino ad arrivare alla versione 4.0 di una commedia che non va più in scena su celluloide bensì sui social, e che ora vede ai due lati della barricata intransigenti predicatori della sobrietà e della temperanza, e incalliti follower del trending topic, affamati di eventi di cui far parte, rinfrescando in salsa ancor più kitsch lo stagionato mito warholiano del quarto d'ora di celebrità.
Cambiano gli usi e i costumi, si evolvono le mode, si arricchiscono i mezzi e le forme di comunicazione, ma il can can delle ultime settimane provocato dalla “battaglia di Roccaraso”, stringi stringi, è solo l'ultima frontiera di un film natalizio dal quale l'Italia non riesce ad affrancarsi. Con la differenza che oggi, probabilmente, prima che a ridere si pensa a marcare il proprio territorio, a prendere le distanze o ad aderire a un modello, soffocando l'autoironia e privilegiando la vis polemica.
La settimana bianca o la gita sulla neve, si diceva, crocevia della società italiana e teatro privilegiato dei suoi “mostri” da commedia. Non è un caso che al citato “Vacanze di Natale” viene attribuita la nascita del cinepanettone come genere. Siamo nel 1983, a Cortina d'Ampezzo si incrociano due famiglie romane: “arricchiti” contro proletari, con la signora Covelli, leader degli arricchiti, ansiosa di marcare le distanze dal popolino in trasferta sulle Dolomiti e dalle Rita de Crescenzo ante litteram rappresentate dalla famiglia Marchetti, i “torpigna” che rischiano di rovinare per sempre la fauna del posto. Immortale, in questo senso, la frase «noi a Capodanno siamo dai Furstenberg», con cui madame Covelli respinge sdegnosamente un invito a cena dei Marchetti.
Ma pochi sanno che l'ultracelebrato capostipite della saga natalizia è a sua volta una rivisitazione di una pellicola del 1959, intitolata “Vacanze d'Inverno”, nella quale Alberto Sordi, uomo dalle umili origini si trova a calcare la neve di una Cortina ancora appannaggio esclusivo dell'aristocrazia, dopo aver vinto il primo premio di un concorso televisivo. Inevitabili le gag irresistibili dell'Albertone nazionale e del suo senso di inadeguatezza, peraltro identico a quello messo in scena dall'attore romano in un altro caposaldo della snow-comedy nostrana: “Il conte Max”, del 1957, in cui un giornalaio realizza il proprio sogno di villeggiare a Cortina in mezzo alla crème della società italiana, anziché nella consueta Capracotta, dove invece lo zio gli consiglia di andare per evitare spiacevoli gaffe. Che regolarmente avverranno fino al triste finale in cui Sordi prende atto di non potersi integrare nel modo di vivere dei ricchi.
Un assunto che emerge anche nel film di cui “Il conte Max” è il remake (“Il Signor Max”, di Mario Camerini, del 1937), nel quale il giornalaio è interpretato da un giovanissimo Vittorio De Sica, anch'esso mestamente rifiutato dal jet set dopo una serie di peripezie e di equivoci sulle nevi delle Dolomiti. Per la narrazione di regime fascista, però, il finale non è amaro, perché non è da buon popolano rincorrere modelli insostenibili e vizi delle classi agiate.
E sulla neve (questa volta di Courmayeur) si consuma il fallimento del ragionier Ugo Fantozzi e del suo collega, il geometra Calboni, che vorrebbero condurre, almeno per un po' di giorni, una vita da signori ma finiscono per diventare zimbelli inconsapevoli dei loro padroni, capeggiati dalla perfida contessa Serbelloni Mazzanti vien dal mare. Leggendaria, patetica e struggente la scena in cui Calboni arriva a Courmayeur salutando dei perfetti sconosciuti e millantando di essere un habitué del luogo, tra gli sguardi disgustati degli habitué veri.
Svolgendo il filo della storia si arriva dunque al corto circuito di Roccaraso, dove i reietti dei luoghi top hanno dato vita a una sorta di pride del sottoproletariato contemporaneo, attirandosi però un astio paragonabile a quello di cui erano vittime i piccolo borghesi che bazzicavano Cortina alla fine del secolo scorso. E' lecito, allora porsi la domanda se tra chi si accanisce oggi contro i gitanti di Roccaraso non vi siano i Calboni o i Marchetti di 50 anni fa, magari sgomenti di fronte a chi con aria beffarda li informa che passerà il capodanno “dai De Crescenzo”.