Siamo giunti all’inevitabile corto circuito istituzionale. Un giudice condanna il sottosegretario Delmastro, il governo inveisce contro la sentenza politica, l’Associazione Nazionale Magistrati “si costerna, s’indigna, s’impegna” e denuncia il tentativo dell’esecutivo di delegittimare la sentenza. L’eterna guerra tra poteri dello Stato si incendia ancora, con la prevedibilità di un dramma rituale: veti incrociati, barricadismo di mestiere, il solito compiacimento malcelato per l’ennesima occasione di conflitto.

Il Paese è impantanato nello stesso fango dal 1992, quando un pezzo di magistratura decise che la politica, tutta la politica, nata sulle ceneri del fascismo e benedetta dai padri costituenti, dovesse essere rottamata. Ma il processo non si è mai chiuso: si è deformato, si è ossificato in un’eterna resa dei conti. La magistratura si considera la custode della legalità, la politica annaspa, si contorce, di tanto in tanto tenta una reazione. Quasi sempre inutile.

Ora, però, la partita sembra decisiva. La separazione delle carriere, la creazione di due Csm distinti, colpiscono al cuore il potere correntizio della magistratura. L’Anm lo sa. E per questo alza il livello dello scontro, rifiuta il dialogo, si trincera dietro lo strillo: “Attacco all’indipendenza della giustizia!”. Il che è bizzarro, quasi surreale, perché la riforma non tocca minimamente l’autonomia della magistratura, sancita dall’articolo 104 della Costituzione: «La magistratura costituisce un ordine autonomo e indipendente da ogni altro potere».

Quella stessa Costituzione che le toghe brandiscono con solenne enfasi nelle cerimonie di apertura dell’anno giudiziario, ma che, evidentemente, non si sono mai prese la briga di leggere con attenzione.

E così, dietro la sentenza Delmastro, si intravede la battaglia vera: la riforma della giustizia, il referendum sulla separazione delle carriere. I cittadini si troveranno a decidere se sia giusto tracciare una linea netta tra giudici e pubblici ministeri, oppure no. Ma prima di arrivare lì, il conflitto andrà avanti.

Del resto lo avevamo detto: la riforma non sarà un pranzo di gala. Le opposizioni, per ora, difendono le toghe con malcelata pigrizia. Sanno bene che la riforma serve a tutelare tutto il sistema politico dalle ingerenze della magistratura. Ma lasciano fare il lavoro sporco al governo. Sarà per questo che continuano a perdere le elezioni.