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IMAGOECONOMICA
La Corte costituzionale con sentenza n. 242/2019, aiuto al suicidio medicalizzato, ricorda che fra le possibilità previste nei trattamenti sanitari a favore di un paziente vi debbano essere le cure palliative e fra queste la possibilità della sedazione profonda. Cure palliative finalizzate a migliorare la qualità della vita sia del paziente che della sua famiglia, considerati come unica entità di cura.
Scrive la Corte che è necessario offrire sempre alla persona concrete possibilità di accedere a cure palliative, anche diverse dalla sedazione, di modo che siano «un prerequisito della scelta, in seguito, di qualsiasi percorso alternativo da parte del paziente». Sebbene le cure palliative siano oggi previste nelle strutture sanitarie, può essere opportuno ricordare che già in passato si ricorreva a questi trattamenti sanitari soprattutto per consentire al paziente di non dover affrontare dolori insopportabili.
Può essere opportuno ricordare La carta europea dei diritti del malato (15 novembre 2002), che al punto 11 afferma che ogni paziente ha il diritto di evitare quanta più sofferenza possibile in ogni fase della sua malattia, avvalendosi fra gli altri mezzi di cura delle cure palliative. In Italia acquisivano importanza l’accordo Stato-Regioni del 2001 con il Progetto “Ospedale senza dolore” e nel 2005 la Carta dei diritti sul dolore inutile dell’organizzazione Cittadinanza attiva si rifaceva alle cure palliative. Non manca inoltre diversa giurisprudenza che, richiamandosi in specie all’art. 32 della Carta costituzionale e altresì all’articolo 700 p.c., imponga la somministrazione di cure palliative.
Siamo, comunque, ancora in una giurisprudenza oscillante e non univoca soprattutto per quanto poteva riguardare la responsabilità del medico che mostrasse negligenza o imperizia nell’ambito di situazione che il paziente viveva in balia di dolori e sofferenze. La legge 38/2010 ha dissipato ogni dubbio circa la sussistenza di un diritto soggettivo dei pazienti ad usufruire delle cure palliative nei confronti dei medici, sebbene non abbia previsto la “sedazione profonda” e non abbia introdotto nuove fattispecie di reato.
La normativa verrà ripresa dal DPCM del 12gennaio 2017 (art. 23 Cure palliative domiciliari) nei livelli essenziali di assistenza. La successiva legge 219/2017 all’art. 2 (Terapia del dolore, divieto di ostinazione irragionevole nelle cure e dignità nella fase finale della vita) sulle cure palliative richiama come legittima la sedazione profonda e ha ritenuto opportuno tornare a precisare: “che il medico... deve adoperarsi per alleviare le sofferenze del paziente, anche in caso di rifiuto o di revoca del consenso al trattamento sanitario indicato dal medico. A tal fine è sempre garantita un’appropriata terapia del dolore... con l’erogazione delle cure palliative...”.
Con le leggi 38/2010 e 219/2017 e con la sentenza della Corte costituzionale 242/2019 le cure palliative e la terapia del dolore diventano, dunque, un diritto da assicurare ai malati e a questo diritto fanno da contraltare le responsabilità in capo ai sanitari e alle strutture sanitarie e la possibilità del risarcimento del danno nella duplice ottica della responsabilità contrattuale ed extra-contrattuale. Questo presuppone anche una formazione sempre più specifica per i professionisti sanitari e l’importanza della ricerca per lo sviluppo di pratiche innovative.
Ancora va segnalato l’obbligo di riportare la rilevanza del dolore all’interno della cartella clinica e la sua evoluzione nel corso del ricovero. Un passaggio decisivo è stato anche l’abbandono dello stretto collegamento alla prossimità della morte e l’ampliamento dell’ambito delle cure palliative a tutte le malattie cronico-evolutive. Tuttavia il rapporto annuale rilasciato dal Ministero della salute al Parlamento continua a confermare l’insufficiente sviluppo delle cure palliative sul territorio nazionale, specie per quanto riguarda l’offerta assistenziale in regime residenziale, domiciliare.
Nell’ambito del fine vita alcuni malati considerano le cure palliative e la sedazione profonda, soprattutto se prolungate, contrarie alla propria dignità, preferendo un percorso più rapido di morte. I valori, dunque, che il paziente attribuisce alla pratica palliativa sono diversi da quelli che vuole affermare richiedendo l’aiuto a morire e che consistono nella valorizzazione della propria dignità e autonomia. Tuttavia, il dramma personale dell’elaborazione della propria morte non dovrebbe escludere l’offerta di condizioni migliori per trascorrere con minor dolore e sofferenza il tempo rimanente dell’esistenza. Qualunque sia l’importanza che si attribuisce alla richiesta di assistenza a morire, questa non deve mai essere una scelta obbligata da uno stato di sofferenza, che oggettivamente sarebbe riducibile attraverso cure palliative adeguate.