Il recente dibattito politico legato all’introduzione nel ddl Sicurezza dell’emendamento che vieterebbe la produzione e commercializzazione della cannabis light ha riportato al centro della discussione una domanda: la cannabis light può essere considerata una sostanza stupefacente?

Proposto e ispirato dal sottosegretario alla Presidenza del Consiglio Alfredo Mantovano, l’emendamento 13.06 è stato inserito nel provvedimento, soggetto al voto delle aule in questi giorni. Al suo interno si rilevano forti restrizioni alla produzione e commercializzazione della Cannabis Light e i prodotti da essa derivati. Inoltre, con il decreto 27 giugno 2024 il Ministero della salute ha inserito il CBD tra le sostanze stupefacenti inserite nella Tabella dei medicinali, Sezione B, allegata al DPR 309/90, ponendo così i prodotti che lo contengono sotto regime di ricetta medica non ripetibile e limitandone fortemente la vendita nel mercato italiano e comunitario. Questo ha provocato la reazione dell’opposizione che promette battaglia in ogni sede per bloccare l’iniziativa legislativa.

«L’opposizione faccia l’opposizione e si opponga pure, noi manterremo saldo il punto», ha dichiarato il Senatore Maurizio Gasparri, «ritengo sia giusto continuare sul solco dell’iniziativa promossa da Mantovano anche perché sovente in questi luoghi (cannabis shop) circolano sostanze che superano di molto i limiti di legge».

A seguito delle critiche mosse all’emendamento dai partiti politici e dalle associazioni di settore, lo scorso 10 settembre è stata pubblicata una nota di chiarimento del Dipartimento per le politiche antidroga. L’inserimento nel ddl sicurezza sarebbe finalizzato a tutelare l’ordine pubblico da comportamenti che derivino dall’assunzione a scopo ricreativo di Cannabis light, senza ripercussioni, secondo quanto dichiarato nella nota, sulla filiera agroindustriale legata alla produzione di canapa.

«Le imprese coinvolte nel settore della Cannabis Light sono tra le 1000 e le 1500 mentre i lavoratori che verrebbero colpiti dagli effetti dispiegati dall’emendamento sono circa 13000 di cui la maggior parte giovani. Il settore ha avuto uno sviluppo vertiginoso negli ultimi anni anche grazie ai finanziamenti derivati da fondi regionali, statali e comunitari», afferma Riccardo Magi, segretario di +Europa e promotore nel 2021 del referendum sulla cannabis, «l’intenzione è porre al di fuori dei limiti della legge un settore che si è sviluppato facendo affidamento su di essa. La legge, per come è proposta, è assurda oltre che in contrasto con il diritto europeo. Andrà a schiantarsi nei tribunali e il governo perderà tutti i ricorsi. Nel frattempo però si perderanno l’indotto generato dal settore e migliaia di posti di lavoro. La nota del Dipartimento per le politiche antidroga esplicita la difficoltà in cui versa il governo. Il divieto di produzione e commercializzazione comprende intrinsecamente tutti quelli che la coltivano, non potendosi separare la pianta dalla sua infiorescenza. Delle due l’una: o il governo è in malafede o finge di non capire cosa dice la legge. Inoltre nonostante l’emendamento sia attinente al settore dell’agricoltura è stato inserito nel d.d.l. Sicurezza aggiungendo la parte di tutela dell’ordine pubblico rispetto ai comportamenti derivanti dall’assunzione di CBD».

I fatti, per il momento, sembrano dare ragione al segretario di +Europa. Il TAR del Lazio ha accolto, con sentenza del 11 settembre 2024, il ricorso dell’ICI (Imprenditori Canapa Italia) sospendendo così il decreto del Ministero della Salute del 27 giugno e fissando una nuova udienza per il 16 dicembre. Non è la prima volta che i giudici amministrativi si pronunciano in materia. Un primo ricorso, presentato anche in quell’occasione dall’ICI nei confronti di un decreto dalle caratteristiche molto simili a quello odierno, venne accolto a ottobre 2023.

A meno di un decennio dalla sua legalizzazione, la cannabis light, nonostante le decisioni del tribunale amministrativo, rischia di essere nuovamente bandita. La legge 242/2016, in deroga al Testo Unico sulle Droghe, rese legale la coltivazione di Cannabis Light e permise la commercializzazione di prodotti contenenti CBD (Cannabidiolo) da essa derivati, sulla base di specifiche condizioni, quali l’iscrizione delle piante di canapa utilizzate in un apposito registro e la concentrazione di principio attivo THC (Tetraidrocannabidiolo) al di sotto della soglia dello 0,5%.

«Presupposto fondamentale è che la cannabis light rispetto a quella ’normale’ ha concentrazioni di THC trascurabili», spiega Francesco Busardò, Professore di Medicina legale e tossicologia forense, «nella stessa sono presenti numerosi principi attivi come il Cannabidiolo privo di effetti psicoattivi o psicostimolanti e non sovrapponibile ad altre sostanze stupefacenti. Numerosi studi dimostrano gli effetti miorilassanti del CBD, ad esempio nel trattamento dei dolori cronici. In ambito ricreazionale vale la regola che la dose fa il veleno. Essendo un principio attivo dose-dipendente esso dispiega i suoi effetti distensivi e rilassanti in base alla quantità assunta, e può avere effetti collaterali quali vomito o ipotensione, con una certa variabilità interpersonale, ossia la differenza di effetti da persona a persona. Di certo il soggetto assuntore è capace di intendere e volere e l’assunzione di CBD non induce comportamenti bizzarri o violenti».

A seguito dell’intervento legislativo, il settore conobbe un rapido sviluppo sia in ambito farmaceutico che ricreativo. Dal 2016 infatti sugli scaffali delle farmacie si è vista una fioritura di prodotti quali oli essenze, gocce e tisane a base di CBD, allo stesso modo nelle vie della città sono germogliate migliaia di attività commerciali che vendono prodotti simili a scopo ricreativo.

Produttori e commercianti restano ora con il fiato sospeso, chiedendosi cosa riserverà loro il futuro delineato dal disegno normativo odierno, e guardando ad un passato piuttosto recente su cui hanno fatto affidamento per investire importanti somme in un’attività che potrebbe a breve trovarsi al di fuori dell’alveo della legge.