“Prendo una bitch, diventa principessa/ Le ho messo un culo nuovo, le ho comprato una sesta…”. In questo fine anno, ci mancava solo la censura a Tony Effe, il rapper romano accompagnato alla porta dal sindaco Gualtieri in nome di un nome meglio precisato senso del decoro e del rispetto della dignità delle donne.

Certo, i testi di Tony Effe sono, come dire: schietti, ruvidi. Ma sono parole sbattute sul grande palco della cultura pop con l’indifferenza di un chirurgo che studia le viscere umane. Ed è proprio questo il punto: Tony Effe non esalta e non condanna; non ricama morali con fiorellini e arabeschi. No, lui fotografa. E la realtà di questi tempi non è un tiepido paesaggio rinascimentale, ma un banchetto di plastica consumata, un’estetica filtrata nel riflesso dei vetri fumé di un SUV.
Ora, qui si alzano schiere di moralisti, indignati e col dito tremante: Tony Effe sarebbe violento, discriminatorio, misogino. Ma esporre i muscoli atrofizzati di una società non è segno di complicità, così come censurare il mondo non è cambiarlo, è solo coprirgli la faccia con un panno e fischiettare per distrarre i passanti.
E poi è bene chiarire che le donne che amano “un culo nuovo” - come canta il nostro - esistono eccome, e non sono per forza di cose sintomo di un’adesione a un cliché maschilista. Sarebbe bene iniziare a capire e ad accettare che le donne che amano i ritocchini - o i ritocconi - sono del tutto consapevoli e non hanno alcun bisogno di una “polizia morale” che verifichi il loro eventuale cedimento a un ruolo ancillare. Potrebbe essere utile andare a rivedere l’Almodovar di “Tutto su mia madre”, e lo strepitoso monologo di Agrado, ricordate? “Una più è autentica quanto più somiglia all’idea che ha sognato di se stessa”. 


Rimane il fatto che Tony Effe non è un profeta. Non ci dice cosa è giusto o sbagliato. Se l’immagine che restituisce è sgradevole, la responsabilità non è certo del fotografo. Qui, in un vortice moralista di ipocrisia urbana, si decide di tirare via l’artista dal palco, sperando che con lui sparisca tutto il resto. Ma l’umanità, grazie a Dio, è un gigantesco, scomposto catalogo di contraddizioni. Alcune ci piacciono, altre no, tutte però esistono. L’importante è non sparare sul pianista. Perché gli artisti non sono catechisti, non preparano sermoni domenicali. E chiedere all’arte di essere “buona”, come se la bruttezza non fosse un pezzo della verità, è del tutto insensato.