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Le valigie con il milione e mezzo in tagli da venti e cinquanta euro nascoste sotto il divano, i viaggi regalo negli hotel a cinque stelle di Marrakesh, le bottiglie di champagne, le vacanze sfarzose, gli yacht, l’abbronzatura, i selfie tutti sorrisoni bianchissimi sullo sfondo di scorci mozzafiato.
Le istantanee del “Qatargate”, che i media vogliono descrivere come un’apocalittica spy story, addirittura un attacco al cuore della democrazia europea, ricordano molto più la trama sbrindellata di un cinepanettone.
Con al centro una combriccola di provinciali arricchiti che si perdono e si trastullano nell’ebrezza del lusso e dei soldi facili fino a quando, poi, non finiscono nei guai. Climax inevitabile.
Come l’ex sindacalista Antonio Panzeri, passato dalla camera del lavoro di Milano dove era soprannominato “il panzer” ai bordo piscina degli emiri del Golfo, roba da far perdere la testa. Ci vedresti bene Renato Pozzetto nei panni di un personaggio del genere, che poi è una delle tante versioni del paraculo, un po’ ruffiano e un po’ mitomane che ha fatto le fortune della commedia all’italiana, lo specchio distorto delle pubbliche virtù che riflette i nostri vizi privati. E in effetti da chi gravita attorno all’Europarlamento, specie da chi ha un mandato popolare, ci si aspetterebbe che le istituzioni europee non vengano usate come un autobus per rimpinguare il conto in banca.
Il fatto che le gran parte delle persone coinvolte nello scandalo appartenga a partiti di sinistra stupisce soltanto gli elettori di sinistra ancora convinti di esercitare una qualche superiorità morale sulla società ed è una manna per la narrazione della destra, che può speculare all’infinito su quanto gli amici del popolo siano lontani dal popolo e le ong che aiutano i migranti un covo di ipocriti e squallidi affaristi che si arricchiscono alle spalle dei poveri diavoli. Questo elemento simbolico conta più di ogni altra considerazione nella percezione mediatica del “Qatargate” perché il contrasto tra predicare e razzolare è accecante.
Va da sé, anzi, dovrebbe andare da sé che nessuna delle persone finora coinvolte è stata condannata da un tribunale, che al momento non ci sono imputati formali e che l’unico europarlamentare indagato è la socialista greca Eva Kaili, attualmente in custodia cautelare in un carcere belga per decisione del procuratore-sceriffo Michel Claise.
I media dicono che l’affaire è destinato ad allargarsi, che ad esempio sarebbero almeno sessanta i deputati europei contattati dai servizi segreti marocchini per aver in cambio non si sa quali favori. «A libro paga!», titolano intanto le edizioni online dei principali giornali anche se i magistrati devono ancora definire i contorni dell’ingerenza di Rabat.
Ma anche nel caso fossero riconosciuti colpevoli al termine di un processo gli eventuali reati commessi dalla combriccola non sembrano andare oltre la frode fiscale (l’unica evidenza è che quei soldi non sono stati dichiarati). Panzeri è soci non hanno infatti stornato fondi pubblici destinati alla costruzione di strade, scuole e ospedali e fino ad ora non si ha notizia di benefici concreti ottenuti dai loro generosissimi finanziatori se non un generico ritorno di immagine.
In un discorso pronunciato nell’emiciclo di Strasburgo Eva Kaili aveva pronunciato parole di grande elogio nei confronti del Qatar, «paladino dei diritti dei lavoratori» se confrontato agli emirati confinanti, salutando la decisione della Fifa di assegnare a Doha i Mondiali di calcio 2022 e bacchettando l’occidente e il suo sguardo “coloniale” nei confronti dei paesi arabi. Intervento imbarazzante alla luce dello scandalo, ma Kaili non ha influenzato nessuna scelta politica, non ha orientato nessuna assegnazione, nessuna votazione.
Avrebbe solo intascato una cospicua somma per “parlare bene” dei suoi facoltosi sponsor. Anche perché nella maggior parte dei casi il lobbismo funziona proprio in questo modo, quasi come un investimento a fondo perduto per avere in cambio un vago ritorno di immagine. In Paesi come l’Italia o la Francia e in parte la Germania il lobbista viene associato automaticamente a una figura losca e traffichina che persegue interessi privati contrapposti al bene generale. Nel mondo anglosassonee così anche all’europarlamento invece è un ruolo regolamentato, con tanto di status ed è considerato come espressione di parte ma legittima della società civile.