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Bruno Cherchi, procuratore di Venezia
«Filippo ha diritto a essere trattato in maniera obiettiva, ovviamente dalla Procura che garantisce i diritti delle parti in causa in questa fase, ma anche dall’opinione pubblica». E poi: «L’indagato non si deve sentire condannato prima che i fatti vengano accertati nei modi e nei tempi previsti dalla Costituzione. È un fatto di civiltà a cui tutti dovremmo riferirci». Parole e musica di Bruno Cherchi, l’uomo del momento, il procuratore Capo di Venezia che in queste ore di (inevitabile) valanga emotiva, sta coordinando le indagini sulla morte di Giulia e che presto si troverà faccia a faccia con Filippo, “il carnefice”, “il mostro”, “l’indifendibile”. Insomma, nel grumo emotivo che sta montando senza sosta da giorni, il procuratore di Venezia ha trovato la forza e il coraggio di rischiarare col lume della ragione e dei diritti costituzionali una vicenda che rischia di sfuggire di mano.
Il dottor Cherchi ha ricordato a tutti noi ciò che dovrebbe essere scontato (e che questo piccolo giornale ogni giorno cerca di non far dimenticare), e cioè che i diritti, le garanzie valgono per tutti e che l’indagato non è colpevole fino al terzo grado di giudizio. Insomma, le elementari regole dello Stato di diritto, quelle per cui i nostri padri costituenti si sono battuti e valenti magistrati e avvocati ogni giorno celebrano come una preghiera laica nelle nostre Aule di giustizia. Diritti per i quali, qualcuno di loro, si è pure fatto ammazzare.
E poi, sia chiaro: ogni graffio alle garanzie di Filippo, ai suoi diritti, è una lesione irreversibile allo stato di diritto di noi tutti. E se vogliamo evitare di ritrovarci d’improvviso nelle mani di un autonominato tribunale del popolo, sarà bene dar retta al procuratore Cherchi…