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Il processo per violenza sessuale di gruppo che vede tra gli imputati il figlio di Giuseppe Grillo, ha dato luogo a numerose polemiche a seguito delle domande rivolte da uno dei difensori degli imputati alla persona offesa. Quanto accaduto impone di richiamare alcuni punti fermi, anche a rischio di dover sottolineare l’ovvio.
La Costituzione afferma, infatti, che “la difesa è un diritto inviolabile in ogni stato e grado del procedimento”, e “… l’imputato non è considerato colpevole sino alla condanna definitiva”. Non si tratta di inutili orpelli, ma di irrinunciabili principi di civiltà. Come è pacifico per chiunque si trovi a dover intervenire professionalmente in un procedimento penale per violenza sessuale – dalla Polizia Giudiziaria, al Pubblico Ministero, dagli Avvocati ai Giudici -, che la particolare delicatezza e complessità degli aspetti, anche psicologici, che devono essere affrontati, impongono un approccio attento, cauto, volto ad evitare la colpevolizzazione del o della querelante e ogni effetto di “vittimizzazione secondaria”.
La particolarità del tema non può però mutare la funzione del processo e travolgere i principi costituzionali e le regole che lo governano. La via per l’esercizio del diritto di difesa da parte di chi sia chiamato a rispondere di avvenimenti la cui prova si basa prevalentemente sulle dichiarazioni della persona offesa è quella di esaminarla, nel contraddittorio delle parti, ponendo domande sui fatti specifici oggetto di imputazione.
Ciò premesso, merita qualche considerazione più specifica il caso concreto per evidenziare quanto, purtroppo, poco contino i fatti rispetto alle narrazioni aggressive, offensive e talvolta minacciose che abbiamo visto rivolte alla funzione difensiva e a chi la esercita.
I difensori degli imputati avevano prestato il consenso all’acquisizione della querela e delle dichiarazioni videoregistrate rese in fase di indagine, al fine di limitare le domande da rivolgere alla persona offesa proprio per evitare, per quanto possibile, di sottoporre ad ulteriore stress la testimone che, al contrario, ha rivendicato il diritto di essere ascoltata dal Tribunale, di rispondere ad ogni domanda e fornire nel modo più esaustivo la propria versione di quanto accaduto.
Le domande che hanno scatenato sui media reazioni sdegnate, sono state ammesse dal Tribunale, che le ha ritenute pertinenti e rilevanti, oltre che formulate in modo corretto. Tutto questo certo non interessa a chi ritiene che l’imputato sia un presunto colpevole, che il difensore sia un suo fiancheggiatore e che il processo debba celebrarsi nel minor tempo possibile senza mettere in discussione l’accusa.
L’aspetto positivo di una democrazia costituzionale, basata su principi liberali, è che diritti fondamentali sono riconosciuti anche a chi li disprezza e dunque, anche ai più scomposti e acerrimi nemici della presunzione di non colpevolezza e del diritto di fesa saranno riconosciuti ove mai dovessero essere raggiunti da un’accusa.
In questo caso si renderebbero bene e subito conto del perché, tra tutti i diritti che sono descritti in costituzione solo i diritti di libertà e il diritto di difesa sono definiti “inviolabili”: perché senza di essi non esiste l’individuo e dunque, neppure la democrazia.