PHOTO
LaPresse
Ci sono almeno un paio di modi per raccontare la piazza europea di sabato scorso. Ce n’è uno romantico-progressista che scalda i cuori e che ha ancora negli occhi i colori di quella piazza inclusiva, intrepida nel difendere la democrazia dagli assalti del sovranismo, del trumpismo e dai rigurgiti illiberali che covano sotto le ceneri – ancora calde, badate bene – del Novecento. Un’Europa in pericolo, insomma, e un centrosinistra da ricompattare sotto lo stesso vessillo, con la leggerezza un po’ naif del “volemose bene”.
Ma c’è un modo assai meno romantico, più spietatamente reale, che restituisce l’immagine di un centrosinistra che non sa più dove girarsi. Certo, per un pomeriggio si marcia uniti - da una parte i sostenitori del ReArm Europe, dall’altra i pacifisti senza se e senza ma - ma già dal giorno dopo, ciascuno torna nel proprio accampamento. L’unico collante? L’evergreen del pericolo fascista, che però, dopo anni di usura propagandistica, inizia a somigliare a un vecchio LP in vinile graffiato qua e là.
E in mezzo c’è Elly Schlein, l’immagine stessa dell’ambiguità strutturale del PD. Una leader che da un lato critica il riarmo europeo, ma poi va in piazza con chi lo sostiene; strizza l’occhio ai pacifisti, ma non rompe con chi chiede più armi. Un perfetto equilibrio tra incertezza, tatticismo e la paura di scegliere davvero. Un gioco che, forse, le garantirà qualche voto tra i reduci del popolo dem deluso, ma che la condanna a una opposizione perpetua. E sta qui il paradosso perfetto della sinistra italiana: una segretaria che raccoglie con dedizione il voto identitario, lo coccola, lo coltiva, lo preserva come una reliquia, ma poi scopre che non basta per governare, che non si trasforma in progetto, in alternativa, in motore di qualcosa che assomigli vagamente a una sfida reale al potere. È una politica che si nutre di conferme, non di conquiste. Un congresso permanente che scambia la purezza identitaria con la capacità di governare.
E per chi avesse ancora qualche dubbio sulla “credibilità” del Campo largo, farebbe bene a buttare un occhio ai dati che Ilvo Diamanti ha pubblicato su Repubblica: le distanze tra gli elettori di centrosinistra sono ormai siderali. C’è chi vorrebbe allearsi con i grillini e chi li considera la reincarnazione del populismo più becero. C’è chi sogna il riformismo e chi pensa ancora di poter vincere cantando Bella ciao nelle piazze.
Così, la manifestazione di sabato rischia di ridursi a mero esercizio di stile, un tentativo di nascondere sotto la bandiera europea le divisioni, le fragilità, la mancanza di una direzione. Insomma, l’impressione è che, con un’opposizione così, Giorgia Meloni possa dormire sonni tranquilli.