Si chiama L’estremismo, malattia infantile del comunismo, ed è un famoso pamphlet di un certo Vladimir Il'ič Ul'janov, detto Lenin. Lenin, con la pazienza di chi sapeva che l’intransigenza è il miglior alleato della sconfitta, si scagliava contro il “niente compromessi” di certe ali oltranziste della Seconda Internazionale.

Ora, suggerire la lettura del Lenìn – come dicevano in Romagna – all’Anm potrebbe sembrare una provocazione, ma forse servirebbe. Magari in sessione plenaria, magari con un bel seminario di autocoscienza. Perché mai come ora l’Associazione Nazionale Magistrati sembra essersi ficcata in un pantano autoreferenziale, un labirinto senza uscita fatto di chiusure, boicottaggi, gesti plateali e la convinzione che il nemico sia ovunque: nel governo, nel Parlamento, nei penalisti, nei giornalisti, nei cittadini, nei panettieri, in chiunque osi anche solo sfiorare il tema della separazione delle carriere.

Si chiude tutto, si saldano le barricate. Basti pensare che la stagione si è aperta con la scelta di abbandonare platealmente l’aula all’inaugurazione dell’anno giudiziario, come se la solennità istituzionale fosse ormai un fardello inutile, un impaccio per chi ha deciso che non si tratta più di discutere, ma di combattere. E per non farci mancare nulla, alla spirale del muro contro muro, i magistrati hanno rifiutato anche l’invito dei penalisti per la loro cerimonia inaugurale.

Insomma, l’Anm somiglia sempre più a un comitato di resistenza contro questo governo, questo Parlamento, questo pacchetto di riforme che osa mettere in discussione l’ordine costituito. Il quadro è chiaro: la magistratura organizzata non si comporta più come un potere dello Stato, ma come un contropotere militante. E la cosa non dovrebbe sorprendere: sono decenni che una certa cultura giudiziaria ha scambiato l’autonomia con la licenza di dettare le regole del gioco.

E forse sarebbe il caso che qualcuno all’interno della magistratura lo dicesse chiaramente: nessun potere può sopravvivere a lungo se decide di arroccarsi. E se l’Anm pensa che basti alzare il ponte levatoio per fermare il cambiamento, allora non ha imparato nulla dalla storia. E nemmeno dal Lenìn.