PHOTO
Robot
L’ IA ha nel campo del lavoro incrementato dei miti, quali la robotica che con le sue macchine dovrebbe non solo migliorare le capacità degli esseri umani, ma addirittura sostituirli con tratti corporei, fisici e mentali che si discostano completamente dallo stampo ominide. Torna la domanda se fin d’ora dobbiamo porci il problema che presto gli esseri umani saranno obsoleti? Marvin Lee Minsky, coinventore della I. A., ebbe a scrivere: «I robot erediteranno la terra? Sì ma quei robot saranno i nostri figli!». Nel prossimo futuro, in una società che invecchia rapidamente e cresce numericamente, i robot saranno una tecnologia indispensabile. Tuttavia già oggi la crescente penetrazione delle macchine intelligenti e dei robot in tutti gli ambiti sociali produttivi ci obbliga a una profonda riflessione che riguarda la formazione, il lavoro, il welfare e la società nel suo complesso.
Si teme che in breve tempo i robot possano estromettere milioni di esseri umani dal mercato del lavoro, creare una nuova, enorme classe di individui “inutili”, provocando sovvertimenti sociali e politici per i quali non esiste ideologia capace di controllarne le conseguenze. L’intero discorso tecnologico ideologico può suonare molto astratto e remoto, ma la prospettiva di una disoccupazione di massa o di una disoccupazione individuale non lascia nessuno indifferente.
La rivoluzione industriale della robotica ha portato un cambiamento già negli anni 80, stravolgendo l’impianto industriale, le linee di produzione e incrementando il livello di produttività. Ma la vera novità del prossimo futuro sarà soprattutto la trasformazione della società attraverso l’ingresso nelle nostre vite dei robot. La robotica negli ultimi decenni ha fatto progressi fino a qualche tempo fa impensabili e di conseguenza le sue applicazioni sono state estese a nuovi settori sociali. Citando le parole di Gary Barnett, capo analista per la ricerca tecnologica di GlobalData: «La crescita è guidata da robot che diventano progressivamente più economici, più intelligenti, più flessibili e più facili da istruire; questa sua crescita rende più facile per i robot di entrare in nuovi ambiti applicativi».
Avremo processi tecnologici che permettono al robot di migliorare e potenziare le proprie prestazioni. In questo senso, si penserà a realizzare robot sempre più “generalisti” e non meramente “specialistici”, cioè utilizzabili in settori industriali o di servizio e quindi adoperati non solo da utenti addestrati in un contesto specifico. Possiamo, dunque, parlare di un vero e proprio processo di “socializzazione” della robotica. Tuttavia, il miglioramento delle performance dovrà correttamente essere bilanciato con la garanzia di affidabilità, sicurezza, controllo, capacità di prevedere il comportamento del robot nella coesistenza con l’essere umano.
In campo civile il robot viene adoperato soprattutto per uso domestico e ludico (nel qual caso si è soliti discorrere di “social robot”), ma può essere utilizzato anche come assistente per anziani. Sempre in campo civile, la robotica sta progressivamente prendendo piede anche in campo medico- sanitario, sia con funzioni diagnostiche che con pratica in senso stretto. Cosicché il medico robot inizia ad essere una realtà, utilizzabile nel mondo del lavoro. Ad un simile incremento dell’impiego della robotica nel settore produttivo si minaccia un corrispondente calo del lavoro umano in misura inversamente proporzionale. Un tema questo che suscita seri problemi di compatibilità tra tale trend e i più elementari diritti fondamentali riconosciuti all’uomo, consacrati sia livello nazionale che sovranazionale, e che nei prossimi anni impegneranno certamente il legislatore, se non altro, per un’azione di bilanciamento di vari interessi costituzionali in gioco.
Le analisi più recenti concordano sul fatto che i robot causeranno una diminuzione dei lavori di routine cognitiva o manuale, mentre difficilmente impatteranno sui lavori creativi ad elevata manualità. Tuttavia diversi antropologi ritengono che l’automazione, pur subentrando in un certo numero di attività lavorative, possa anche creare una serie di nuove complementarietà tra l’uomo e la macchina che, a loro volta, richiederanno nuove capacità professionali e nuovi servizi.
Il mondo dell’impresa assegna ad esempio di gran lunga la priorità alla riconversione professionale dei propri dipendenti, identificando l’insufficiente comprensione dei cambiamenti tecnologici come il principale ostacolo per l’innovazione industriale. Si potrebbero anche creare nuovi posti di lavoro in altro modo. Invece di competere con l’intelligenza artificiale, gli umani potrebbero mettersi al servizio dell’intelligenza artificiale, assecondandone la potenzialità. Per esempio la già avvenuta sostituzione dei piloti umani con i droni ha eliminato alcuni posti di lavoro, ma creato parecchie nuove opportunità nella manutenzione, nel controllo a distanza, nell’analisi dei dati della sicurezza informatica.
Così il futuro mercato del lavoro potrebbe essere caratterizzato da una opportuna cooperazione tra umani e intelligenza artificiale anziché da una situazione di competitività. Certo è che dovremmo lavorare seriamente su di un futuro da costruire ora.
Dovremmo scegliere tra una società basata sul sistema “chi prima arriva prende ciò che considera utile”, oppure vivere in una collettività dove ci sia consapevolezza che il “divario digitale” a causa dell’età, della condizione socio economica, dell’area geografica di appartenenza: anziani, persone meno colte, abitanti in Paesi in via di sviluppo sono i soggetti più vulnerabili dell’era digitale, perché non possiedono le tecnologie e non hanno l’educazione e la motivazione per utilizzarle.