Si può essere assolti in via definitiva e rimanere comunque colpevoli, come lo psicoterapeuta Claudio Foti. Ed essere condannati in via definitiva ed essere comunque innocenti, come Piercamillo Davigo. Si tratta di una forma molto particolare di garantismo à la carte, particolare perché la presunzione di innocenza non precede il giudizio, ma lo segue, secondo una Carta fondamentale che non è quella firmata dai costituenti, ma quella di Marco Travaglio.

Nonostante questa «ingiusta condanna», scrive il direttore, il Fatto Quotidiano continuerà a ospitare con orgoglio i commenti e le riflessioni di Piercamillo Davigo, fiduciosi che questo «capolavoro di surrealismo giudiziario» venga presto cancellato. Cosa che non accadrà, almeno per la parte che è andata definitiva - non per mano del quisque de populo, ma di gente che, di solito, Travaglio difende -, salvo che Davigo, legittimamente, non voglia chiedere la revisione del processo e poi, eventualmente, ricorrere anche alla Cedu.

In caso, gli auguriamo di ottenere giustizia. Ma i fatti rimangono fatti. E affermare, come ha fatto l’ex giudice Antonio Esposito, firmatario del pezzo in solidarietà dell’ex pm di Mani Pulite, che la condanna sia strana perché l’extraneus (Davigo, appunto) è stato punito mentre l’intraneus del reato di rivelazione di segreto (ovvero il pm Paolo Storari, colui che consegnò i verbali di Piero Amara all’allora consigliere del Csm) no significa fare le capriole.

Proviamo con un esempio: in caso di concorso in rapina di un adulto con un minore non punibile che succede? Che a pagare sarà solo l’adulto. Nel caso di Storari la sentenza di assoluzione definitiva è chiara: si tratta di rivelazione colposa per difetto di elemento soggettivo, dal momento che il pm si è affidato - sbagliando - a Davigo affinché quei verbali venissero trasmessi al Comitato di Presidenza, ricevendo rassicurazioni sul fatto che ciò stesse avvenendo in modo regolare. Cosa dimostratasi falsa, come acclarato da due sentenze di merito.

Esiste, dunque, il reato per Storari? No. Mentre Davigo, che sicuramente conosceva le procedure ed era pure membro della Commissione per il regolamento, non trasmise in maniera formale - e, dunque, legale - quegli atti al Comitato di Presidenza, ma ne informò i membri separatamente senza mettere in moto l’unica macchina che avrebbe potuto davvero tutelare Storari e le indagini di Milano: quella prevista dalla legge.

A voler dimenticare il fatto che Davigo ha comunicato tali atti non solo a membri del Csm - che invitò a prendere le distanze dal collega Sebastiano Ardita, indicato falsamente come membro della loggia -, ma anche a soggetti ad esso estranei, un altro aspetto è stato tralasciato da Esposito nella sua difesa del collega: «È la stessa cronistoria delle attività investigative (...) a smentire» che sia stato il contributo di Davigo a sbloccare le indagini.

Insomma: l’intervento di “legalità” dell’ex pm si è rivelato inutile. Anzi, illegale. Qual è la conclusione a cui si arriva leggendo il pezzo di Esposito, dunque? Che dire pregiudicato a Davigo è gogna mediatica. Dirlo a Silvio Berlusconi o a chiunque altro sia stato condannato è dovere morale. E perfino trattare da colpevole chi è stato assolto si può fare, basta far stabilire il catalogo dei buoni e dei cattivi a Travaglio. Viene il sospetto che l’unica cosa che si tentava di fare fosse giustificare la presenza, su un giornale come il Fatto, della firma di Davigo. Excusatio non petita, accusatio manifesta, dicevano i latini.