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Gino Cecchettin, padre di Giulia Cecchettin e presidente fondazione \"Giulia Cecchettin\", durante il minuto di rumore in memoria di Giulia Cecchettin e di tutte le vittime di femminicidio
C’è una regola che non può essere emendata, che deve necessariamente resistere al peso di ogni dolore, di ogni rabbia: è il diritto alla difesa. Una regola e un diritto che riguardano anche Filippo Turetta, il ragazzo accusato di aver sequestrato e ucciso Giulia Cecchettin. Una regola che suona aspra, quasi crudele, davanti a una tragedia che fa vacillare ogni equilibrio umano. Eppure, proprio lì, in quel diritto apparentemente insopportabile, risiede il cuore della nostra civiltà.
L’avvocato di Turetta ha fatto ciò che era suo dovere fare: esercitare quel diritto. Non un gesto di sfida, né un’offesa. Ha parlato con misura, ha costruito argomenti, ha ricordato che va assicurato un giusto processo anche a chi è accusato di un crimine così mostruoso. Non è solo un principio, ma la pietra angolare della giustizia.
Ed è qui che la tragedia si fa più complessa. Gino Cecchettin, padre di Giulia, ha tutto il diritto di sentirsi ferito. Ogni parola pronunciata in quell’aula, ogni argomentazione, non può che essere per lui un nuovo colpo al cuore, un altro graffio alla memoria di sua figlia. Ha diritto, lui, a percepire quelle parole come un’offesa, un oltraggio, un’ulteriore ferita che si aggiunge al dolore indicibile di chi ha perso una figlia in modo così crudele. La sua sofferenza è un labirinto in cui nessuno dovrebbe mai perdersi, e di fronte a quel dolore non possiamo che inchinarci.
Ma se Gino Cecchettin ha diritto alla rabbia, all’indignazione, persino all’irrazionalità, noi, invece, abbiamo il dovere di ricordare ciò che è fondamentale: il diritto alla difesa non è un privilegio, ma una garanzia per tutti. Un graffio a quel diritto, anche quando ci appare scomodo, è un graffio ai diritti di chiunque, un crepa nell’equilibrio su cui poggia la giustizia.
L’avvocato della difesa, figura spesso fraintesa, non è né carnefice né complice. È il custode di un principio essenziale, quello secondo cui la giustizia non è vendetta, ma un fragile ecosistema in cui ogni diritto, anche il più difficile da accettare, deve essere preservato. Ricordarci questo, anche nelle tragedie più oscure, è il suo compito, il suo onere, la sua missione.
Ed è qui, in questo territorio dove l’umano si scontra con i diritti, dove il dolore e la giustizia si intrecciano, che si gioca la partita più importante. Una partita che non possiamo permetterci di perdere, perché da essa dipende non solo il destino di un uomo, ma la tenuta stessa del nostro sistema di valori.