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LaPresse
Sono passati pochi giorni dall’anniversario della strage di Ustica del 27 giugno 1980, volo DC9 Itavia precipitato con 81 persone a bordo, con parenti e amici delle vittime a protestare contro la proposta di archiviazione della cinquantennale inchiesta, quando altri due casi famosi di politica giudiziaria dell’inizio secolo escono dal passato a turbare i nostri sonni.
Il delitto di Garlasco con la morte violenta di Chiara Poggi e quello di Arce sulla triste storia di Serena Mollicone si svegliano d’improvviso per impulso di alcuni magistrati. In Italia esiste il principio costituzionale dell’obbligatorietà dell’azione penale, e mai norma fu più ipocrita. È sotto gli occhi anche dei più distratti l’impossibilità, per ogni singolo pm, di perseguire qualunque reato. Questa caparbietà nel “fare giustizia”, sempre e comunque, anche dopo 20 o 50 anni è insensata e provoca solo dolore.
È giusto che sulla base di labili indizi e deduzioni si dia a Alberto Stasi, che sta scontando 16 anni di carcere per l’uccisione di Chiara Poggi, l’illusione di essere scagionato? E all’opposto è giusto, a vent’anni dai fatti, iniziare con il circo mediatico-giudiziario nei confronti di uno che all’epoca era un ragazzino, sulla base di una presunta compatibilità genetica con il suo ceppo familiare? C’è da chiedersi se qualcuno ci pensi, prima di riaprire i casi e disturbare morti e viventi.