Se era “cambiato il cielo di Milano” nella città di Gabriele Albertini, siamo arrivati al “terraterra” di Giuseppe Sala, con l’amministrazione comunale addentata al collo dalle indagini della Procura, proprio sul terreno dello sviluppo urbanistico che ha reso la città di Ambrogio una delle principali metropoli europee.

Dopo il primo rinvio a giudizio di costruttori e funzionari comunali per l’edificazione di un grattacielo di 24 piani in via Stresa, per inosservanza, secondo l’accusa, delle procedure, siamo arrivati alla richiesta di arresto delle più famose “archistar”. Vicende molto diverse tra loro, perché il caso degli architetti Stefano Boeri, Cino Zucchi e Pier Paolo Tamburelli, pur avendo a che fare con la nuova immagine di Milano, che continua la sua corsa verso il cielo, ha un sapore brutto, soprattutto per i moralisti sempre pronti all’azzanno, quello della turbativa d’asta. In parole povere il sospetto di un concorso truccato che ha riguardato la gara per un progetto molto importante e molto atteso nel mondo della cultura, cioè quello che vedrà la costruzione di una grande Biblioteca internazionale della cultura e della comunicazione sulle ceneri della vecchia stazione di Porta Vittoria.

Chi è Stefano Boeri

Stefano Boeri, famiglia importante del radical- chic ambrosiano, famoso nel mondo per il suo “Bosco verticale”, docente universitario, presidente della Triennale ed ex assessore dopo la rottura con il sindaco Pisapia cui aveva invano conteso il titolo di candidato alle primarie del Pd, è stato intercettato o spiato dalla Guardia di Finanza che lo avrebbe sorpreso, la sera del 4 luglio 2022, in un incontro “inopportuno”. Perché lui è in quel momento il presidente, nominato dal sindaco Sala, che proprio la mattina successiva premierà il gruppo di urbanisti che vincerà la gara per la Biblioteca. E l’incontro serale avviene con il suo amico e collega Pier Paolo Tamburelli, il sostenitore del gruppo che sarà proclamato vincitore.

A questa “spiata” si aggiungono le inevitabili e scontate intercettazioni della Guardia di Finanza, che in genere vengono ingoiate sia dai pubblici ministeri che dalla gran parte dei gip come oro colato e riversate nelle ordinanze di custodia cautelare. Per fortuna ha provveduto il Parlamento a una fondamentale riforma, che dal Fatto quotidiano viene definita “buffa legge Nordio”, in base alla quale prima della decisione il gip deve sentire gli indagati. Così si rimandano gli architetti all’appuntamento del prossimo 4 febbraio con il giudice Luigi Iannelli che ha già respinto la richiesta di sequestro preventivo di cinque milioni di euro considerati dalla procura come “proventi del reato”. Ma incombe il rischio di reiterazione dei comportamenti come motivazione per gli arresti domiciliari.

Piccola o grande cosa? Forse non meriterebbe grande attenzione questa inchiesta se non fosse planata su una città che giustamente i milanesi considerano la capitale d’Italia per lo sviluppo e i suoi grattacieli. Ma che anche, per l’attrattività del design, la moda, la cultura, l’arte, la musica, le prestigiose università, si è trasformata in metropoli turistica al pari di Parigi e Londra.

Al tempo stesso però una città in questo momento ferma, in seguito alle inchieste giudiziarie che hanno colpito al cuore la giunta di Beppe Sala e che risuona di sussurri e grida. Nei giorni scorsi ci sono stati i primi rinvii a giudizio. Andranno a processo il prossimo 11 aprile con l’accusa di abusi edilizi i costruttori Stefano e Carlo Rusconi, insieme al progettista e a cinque dipendenti del Comune, per la costruzione del grattacielo di 85 metri di altezza e 24 piani, sorto sulle macerie di una palazzina di tre piani. Con la solita interpretazione “disinvolta” delle leggi urbanistiche che ha portato la Procura a oltre 150 indagini su presunti abusi edilizi in città negli ultimi quindici anni. Quelli delle giunte di sinistra.

Se non siamo tornati ai tempi di Tangentopoli è solo perché, e non è poco, qui non si parla di tangenti. Ma si parla, eccome, di favoritismi che gli uffici del Comune, sia sul piano tecnico che su quello politico, avrebbero offerto ad alcuni grandi imprenditori, consentendo loro di lavorare in fretta, limitandosi a iniziare con la semplice presentazione della Scia (la segnalazione di inizio dei lavori), e con notevoli risparmi sugli oneri di urbanizzazione che sono diventati a Milano i più bassi d’Europa. Poi ci sono i tanti Comitati di cittadini, quelli che lamentano la “cementificazione” e gli altri, quelli che, trovandosi all’improvviso il grattacielo davanti

alle finestre, hanno protestato per la perdita di ore del sole quotidiano cui erano abituati. Ma i sussurri dicono anche che si sono visti troppi architetti, magari quelli delle cordate sconfitte nelle gare, frequentare gli uffici del quarto piano del palazzo di giustizia, quelli dove c'è la procura. Che cosa sta succedendo a Milano, chiediamo a Gabriele Albertini, il sindaco che ha costruito e speso tre miliardi di euro senza una sola informazione di garanzia? Merito del gruppo ironicamente chiamato “Alì babà”, che aveva una grande sintonia con il procuratore Saverio Borrelli? È indubbio, ci dice lui, che qui ci siano due diverse visioni del mondo. Tagliare le tasse favorisce lo sviluppo, anche se toglie apparentemente risorse al Comune. Comunque noi abbiamo attuato interventi strutturali, anche su aree dismesse, complessivamente su 11 milioni di metri quadri. E non intervenivamo di certo con la Scia. Eccolo lì, il punto centrale, quello che mette in contraddizione la normativa nazionale, cui si sono attenuti, a quanto se ne sa, i Comuni di tutta Italia, con l’interpretazione “elastica” ambrosiana. Quello che oggi mette in discussione centocinquanta opere urbanistiche avviate con la semplice Scia, cioè la segnalazione di inizio dell’opera, ma senza la concretizzazione dei “piani attuativi” che garantiscano gli standard di verde e di servizi urbani coerenti con i nuovi insediamenti abitativi.

C’è poi il problema degli oneri di urbanizzazione, che il Comune ha tenuto molto bassi. Due sono i concetti fondamentali, l’interpretazione “elastica” delle norme e la “sintonia” degli ultimi anni tra gli uomini della Procura e quelli del Comune. Non è facile attribuire alla sola presenza di Marcello Viola, il “papa straniero” arrivato a dirigere gli uffici del quarto piano dopo cinquant’anni di continuità di milanesi, tutti di Magistratura Democratica, questa inversione di rotta. E non è facile neppure intravedere qualche scorcio politico, dal momento che il progetto di decreto “Salvamilano”, a metà tra la sanatoria e l’interpretazione autentica della normativa, è condiviso sia dalla maggioranza nazionale di governo che da quella di Palazzo Marino, per lo meno in casa Pd. Il partito di Beppe Sala è oggi quello più in crisi, dopo che 140 intellettuali, in gran parte urbanisti, hanno inviato una lettera di protesta proprio per quel decreto e che l’intero mondo green, cui il sindaco dovrebbe appartenere, è in subbuglio anche per la gran confusione nella viabilità cittadina.

Per quelle piste ciclabili solo disegnate sul cemento e i due ciclisti morti per cui è indagato l’assessore. Ma anche per la logica dei grandi marciapiedi che restringono le strade provocando ingorghi di traffico e maggiore inquinamento. Tra due anni ci saranno le elezioni, e Sala è già al secondo mandato. Una bella scommessa, sia per il centrodestra che non ha ancora il candidato che per la sinistra, oggi più che mai divisa. E sperando che non siano le toghe una volta di più a deciderne il risultato.