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Il carcere Ucciardone di Palermo
«Una storia semplice», avrebbe titolato il maestro siciliano. In fondo è così. Ci sono i cattivi e i cattivissimi. I peggiori e i pessimi.
Ogni sistema carcerario punta a classificare i detenuti in base ai reati che hanno commesso e alla pericolosità che da questi delitti si sprigiona. Uno dei momenti più importanti della vita di un detenuto è il periodo di osservazione iniziale, quando varcate le porte del carcere se ne soppesa la personalità, se ne rintracciano le eventuali pulsioni suicide, se ne censiscono le patologie per le cure sanitarie di cui necessita. Un face to face che dovrebbe essere sempre condotto con accuratezza, professionalità, una certa dose di precisione. In quel momento la persona detenuta riafferma la propria irripetibile individualità e dovrebbe vederla custodita dallo Stato che ne diviene il responsabile. Certo 84 suicidi nel solo 2022 sono un pugno nello stomaco; che dozzine di esseri umani abbiano preferito la morte al carcere è, o dovrebbe essere, un peso insopportabile per le istituzioni di una nazione civile.
Quando si parla di delitti e di pene, invece che crogiolarsi nella stantia retorica della «Costituzione più bella del mondo» (in buona parte, ormai, la causa di molti mali del paese nel terzo millennio), bisognerebbe avere la forza di metterlo da parte quel testo scritto per una società post-bellica, contadina e semianalfabeta e prender in mano altro che illumini davvero le coscienze e aiuti a uscire dalla fanfara illuministica dei proclami, Per chi voglia davvero capire questo dramma basterebbe poco. Basterebbe, per esempio, leggere la circolare 8 agosto 2022 dell’Amministrazione penitenziaria, dal titolo impegnativo e rassicurante «Iniziative per un intervento continuo in materia di prevenzione delle condotte suicidiarie delle persone detenute». Un testo illuminante che, con rara cura e premura, analizza, soppesa, scruta le cause del disagio carcerario e la spinta estrema all’anticonservazione; si scoprirebbe, così, con una certa dose di meraviglia che, tra gli «eventi sentinella» predittivi di un rischio esiziale vi sia «la prossima dimissione della persona che, in alcuni casi, viene vissuta come un passaggio di grave insicurezza di precarietà, di grave preoccupazione per il futuro»; il ritorno a casa, alla vita libera come una minaccia; la segregazione come nicchia e covo da cui non potersi separare.
Basterebbe questo per chiedersi come sia compatibile con un modello penitenziario civile il regime di 41-bis che, invece, non personalizza il trattamento, non ha cura dell’essere umano in vincoli, ma guarda solo al reato, alle sue modalità, alle contestazioni giudiziarie e – in base a questo – assegna il detenuto alle carceri e ai reparti speciali. Un percorso penitenziario parallelo a quello penale con centinaia di soggetti che, tante volte, per tutta la loro vita in carcere (dal primo arresto all’espiazione della pena) restano a regime speciale, isolati in una bolla di restrizioni addirittura minuziosamente codificate e burocraticamente applicate.
Pochi giorni or sono la pubblicistica specializzata ha dato conto di una sentenza della Cassazione (n. 4482 del 2023) in cui si discuteva della legittimità del provvedimento del magistrato di sorveglianza che «aveva autorizzato il detenuto alla visione di files trasposti su cd-rom ovvero su dvd riproducibili sul computer, esclusivamente per esigenze di studio e non già anche per la visione di dvd musicali» (testuale). In questo caso il detenuto «lamentava la mancata consegna di un dvd musicale dal titolo “Vasco Tracks 2” acquistato presso il carcere e riproducibile sul computer portatile» (idem).
Sia chiaro, la sentenza è ineccepibile, pondera le norme, tiene conto delle finalità del regime speciale e delle specifiche ragioni riguardanti il detenuto mafioso in questione; quindi, in un paese avviluppato per settimane dal Festival di Sanremo, riconosce che chi è al 41-bis possa ascoltare brani musicali ma che «la modalità “video” non attiene ad un diritto soggettivo, ma piuttosto ad una specifica forma di fruizione della musica il cui diniego non comporta alcun grave pregiudizio al detenuto trattandosi di un mero interesse del detenuto» (idem).
Sui muri della facoltà di Lettere di Roma nel 1977, in piene rivolte studentesche, apparve un anatema rimasto celebre «La fantasia distruggerà il potere ed una risata vi seppellirà»; esiste anche una fantasia autodistruttiva che è quella di un legislatore occhiuto, micragnoso, esasperante, che prova angoscia per il vuoto di regole, teme la valutazione libera dei giudici, vuole svuotare l’autorità penitenziaria della sua irrinunciabile discrezionalità e copre ogni interstizio per distinguere tra dvd audio (ammessi) e dvd video (vietati).
C'è poco da aggiungere, a parte la curiosità di verificare quali tracce vi fossero nel pericoloso, inguardabile dvd di Vasco Rossi? Alcuni di queste forse avrebbero potuto far bene a chi vive all’ergastolo per essersi macchiato di delitti orrendi: “Io perderò”, “Nessun pericolo... per te”, “La noia”, “Amico fragile” e, poi, “Sally”.
Nulla da ridere, in effetti, ma tutto quel di positivo e di necessario si è costruito in questi duri decenni, dalle stragi del 1992 in poi, rischia di finire sepolto di un colpo dall’incapacità di adattarsi ai tempi, dalla cecità nel non voler prendere atto che quella mafia che brindava all’Ucciardone è stata cancellata dalla storia, che i suoi epigoni hanno consumato e stanno consumando le proprie esistenze in carcere. Mentre i nuovi padroni del malaffare circolano indisturbati nelle stanze di un potere privo di coraggio e, quindi, di fantasia che si balocca nella retorica delle commemorazioni e delle celebrazioni.