PHOTO
avvocato manna sindaco rende
Lo “scioglimento” del Comune di Rende, in Calabria, è stato decretato il giorno 28 giugno 2023 dopo la relazione del ministro Piantendosi, datata 21 giugno, che consiste in poco più di tre pagine, e si richiama alla relazione della prefetta di Cosenza.
La delibera del Consiglio dei ministri risale alla sera prima, martedì 27 giugno 2023, sempre sulla proposta del ministro Piantedosi. Riunitosi alle 18:30 e terminato alle 20:04, il Consiglio ha dovuto far fronte a un’agenda strapiena: dalle misure per le famiglie e le imprese alle ricostruzioni in seguito alle recenti calamità naturali.
Non essendoci il tempo materiale per il governo di approfondire o verificare checchessia, appare evidente che il Consiglio dei Ministri si è affidato alle valutazioni del ministro Piantedosi, il quale – memore forse del suo passato da prefetto? - a sua volta si è fidato ciecamente della prefetta di Cosenza, la quale deve essersi fidata ciecamente della relazione della Commissione d’accesso, “rassegnata” il 24 marzo 2023. Insomma, tutto sembra essersi svolto senza alcuna verifica.
Il D.P.R è stato notificato ufficialmente all’amministrazione comunale rendese solo il giorno 17 luglio. Il D.P.R è arrivato corredato dalla proposta Piantedosi (3 pagine e mezzo) e dalla relazione prefettizia (di 74 pagine) ma non dalla relazione della Commissione d’accesso. Quest’ultima, si dice di 492 pagine, che non ci è pervenuta (sebbene sembrerebbe accessibile ad alcuni giornalisti), si dice dovrebbe contenere prove di duraturi contatti tra l’amministrazione e “membri apicali della criminalità organizzata”, “la persistente operatività di organizzazioni criminali”, “lo scambio elettorale politico-mafioso” e così via.
Il fatto che l’ente, oggetto di verifica da parte della Commissione di Accesso, non abbia alcuna possibilità di interloquire con i propri accusatori – presentare memorie, elementi a discarico, in breve, istaurare un contradditorio – è un’anomalia del testo normativo italiano in materia, più volte denunciato in quanto incostituzionale e soggetto alle numerose proposte di modifiche. Intanto, però, rimane in vigore il sistema inquisitoriale, che concede poteri smisurati al Prefetto e alle Commissioni di accesso. La loro narrazione unilaterale stabilisce la verità unica.
Non avendo, quindi, a disposizione alcun materiale interlocutorio e con la relazione della Commissione di accesso che rimane fantomatica, non mi resta che affidarmi, nella presente lettura, a quel poco che abbiamo a disposizione, cioè la relazione Piantedosi e la relazione Ciaramella.
La relazione Piantedosi, alla base riassume per sommi capi (molto “sommi”, ma che puoi fare in tre pagine?) quella della Prefetta. Tuttavia, si nota un twist curioso: laddove la prefetta più volte sottolinea che si tratta di “elementi indizianti”, in assenza di un qualsiasi giudizio definitivo, il ministro usa termini perentori (l’acclarata “assenza di legalità”, “della presenza e dell’estensione dell’influenza criminale”).
Nella relazione il riferimento “probatorio” principale è costituito dalle indagini avviate dalle tre procure (DDA di Catanzaro, di Salerno e di Cosenza), “sorretto, alla base, da un’operazione investigativa antimafia di grande portata, sfociata in un procedimento penale” (p. 69), senza precisare esplicitamente che nessun procedimento giudiziario si è finora concluso e altri non sono nemmeno iniziati. Come altro riferimento “probatorio”, si citano diverse misure cautelari che però, tranne una (sic!), sono state annullate o revocate o finite con assoluzioni. La relazione parla di risultanze giudiziarie (p.65), ma in assenza di un qualunque giudizio definitivo. Dove è finita la presunzione dell’innocenza, fino al terzo grado del giudizio? La Prefetta ammette che il Sindaco del Capoluogo si è astenuto dal voto perché ritenne “indispensabile … conoscere approfonditamente gli atti contenenti le risultanze delle indagini” (66). Strana pretesa, vero?
L’aspetto forse più surreale è la presenza di decine di omissis, dotati di una potente capacità transitiva. Un esempio. Nella deposizione resa nel 2015, un collaboratore di giustizia Omissis dichiara: “sia io che omissis, la stessa omissis, moglie di omissis, omissis abbiamo fatto la campagna elettorale” (p.16). O altri simili: “socia della omissis è omissis, compagna di omissis, fratello del …” (p.42); “si è finiti con il favorire la omissis, compagna di omissis …” (p.48). Come si potrebbe pretendere il Cdm o il ministro Piantedosi, o anche gli stessi rendesi, capiscano di chi si parla in una prosa del genere?
Il riferimento costante a legami di parentela/amicizia/amore è un modo di insinuare la presenza di un diffuso familismo amorale e a folklorizzare la realtà meridionale (ad esempio l’uso del termine “compare”, p.19), categorie già ampiamente screditate nella letteratura sociologica. Nella stessa vena, la relazione suggerisce che ci sia del marcio nell’operato della omissis (si suppone Rende Servizi, pp. 57-58), per il solo fatto che abbia assunto alcune persone con precedenti penali, dimenticando (ad arte?) che il reinserimento socio-lavorativo dei detenuti nelle regioni del Mezzogiorno è stata una delle mission delle cooperative.
Una tale narrazione alimenta l’idea che nelle terre del Sud non “possono valere” le regole dello stato di diritto: la responsabilità individuale, la presunzione dell’innocenza, il giudizio riservato ai giudici. Suggerisce la Prefetta, citando a sostegno il parere del Procuratore della Repubblica di Cosenza, che, in questo contesto, si possa “prescindere dalla valutazione che ne farà il giudice in termini di riconoscimento o meno della soggettiva responsabilità penale” (pp.63-64) e ribadisce che “gli elementi emersi dalle indagini sono da configurarsi come dati storici inconvertibili, tanto da poter prescindere .. dal riconoscimento di responsabilità da parte del giudice penale” (p. 65).
Un’ultima riflessione: mi sono chiesta se, piuttosto della calabrese Rende, fosse proposto lo scioglimento del comune, diciamo, di Aosta, una città pari alla nostra in termini di popolazione e anch’essa sede universitaria. Potrei scommettere che la proposta non sarebbe stata liquidata in tre pagine e in un minuto, che più di qualcuno avrebbe chiesto di conoscere le risultanze delle indagini, le prove, le verifiche. E non mi si dica che il pregiudizio antimeridionale appartenga solo ai settentrionali, giacché essi fin troppo spesso l’hanno appreso dai meridionali stessi, sempre più subalterni.