56 è il numero delle guerre nel mondo, il più alto mai registrato dal secondo grande conflitto planetario. L’allarme del GPI, Global Peace Index, pubblicato a giugno dal think tank IEP, Institute for economics and peace, segnala il rischio di conflitti più devastanti ed estesi di quelli che, per ora, interessano soprattutto l’area mediorientale e centrafricana. L’Islanda è lo Stato più pacifico, mentre lo Yemen è il più instabile (163°) sulla base di tre indicatori: livello di sicurezza, conflittualità interna e internazionale e grado di militarizzazione.

Il GPI, che colloca l’Italia al 61° posto, indica come realizzare la pace in tempi di conflitto e incertezza: una rete dialogante, chiamata positive peace, costituita dagli atteggiamenti, dalle istituzioni e dalle strutture che creano e sostengono società pacifiche animate dalla prospettiva comune di disarmare, anzitutto, i conflitti ideologici e di approccio, costanti naturali dell’interazione umana. Fino a superare quelle forme di tensione estrema che sfociano in epiloghi disastrosi come le guerre, favorite da un mondo che si risveglia sempre più armato.

Ogni relazione o rapporto umano, immancabile nei contesti sociali, genera naturali conflitti, a cominciare dalle idee. E i conflitti assumono diversi livelli di intensità: dal mero litigio per vedere soddisfatto il proprio interesse economico o morale, all’odio e alla violenza che evolvono fino a provocare la morte di esseri umani. Ma se ne conosciamo gli effetti prima ancora delle cause, ossia più morte, distruzione, fame, povertà e meno tranquillità, fiducia, diritti, doveri, perché le guerre non smettono di infestare il pianeta? E se ne conosciamo anche gli epiloghi, comuni a ogni tempo e area geografica, ossia la sconfitta degli esseri umani privati dei diritti naturali, perché su decisioni scellerate non prevale il dovere degli Stati di proteggere vite umane ed ecumene? Benché legittimata dal diritto internazionale, la guerra è violenza, istigata da ragioni economiche e di supremazia territoriale, talvolta vestite di vessilli etici e religiosi.

Chi guarda alla guerra come soluzione incorre nell’errore più insulso del pensiero umano: il pretesto di aver ragione per usare la forza o il diritto ai fini della tutela dei propri interessi. Ma è un atteggiamento inadatto a risolvere qualsiasi conflitto perché, sebbene questioni complesse richiedano lucidità e competenza superiori, alle soluzioni si accede sempre con chiavi che hanno cifrature comuni, adatte alle proprie come alle porte degli avversari.

Se un lessico senza la parola guerra è solo ancora un auspicio, significa che i proclami del disarmo hanno fallito e gli uomini dimostrato minor attitudine al dialogo rispetto alle capacità negoziali delle donne: da Andromaca che richiama Ettore ai suoi doveri familiari, alla caparbia Lisistrata, che nella strategia paradossale di Aristofane proclama lo sciopero dell’amore a oltranza insieme alle ateniesi stremate dai conflitti, alle Sabine di Tito Livio, custodi delle chiavi dell’altruismo in grado di fermare, nonostante l’offesa subita nell’intimo, una guerra parricida e unire due popoli. A chi crede che le guerre siano una soluzione inevitabile mancano la sensibilità, il dialogo e la visione del futuro delle donne, che hanno dato prova di anteporre al proprio il bene di padri, mariti e figli. Il mondo ideale, quello senza guerre, sarebbe senz’altro governato da sole donne.

La pace positiva è il metodo per evitare crudeltà e sacrifici di vite innocenti, fatte a stracci dall’assenza di dialogo, nel ripiego di una diplomazia condizionata da Governi scellerati che hanno dimenticato l’essere umano. La Costituzione italiana non permette di muovere guerre contro nessuno ed è un principio immodificabile. Ma, nel futuro, occorrerebbe che la Carta limitasse anche la difesa passiva, rivendicando il diritto di proteggere la vita umana nel principio di neutralità, in forza del quale alcuni Stati, come la Svizzera e l’Austria, evitano di contribuire allo spargimento di sangue sempre e in ogni caso. Tra le vittime non vi è mai chi ha ragione e chi ha torto.