Mentre il procuratore Nicola Gratteri, in tutto allineato al sindacato Anm cui lui non si è mai iscritto, continua a protestare contro il limite di 45 giorni per le intercettazioni previsto dalla nuova legge approvata dal Parlamento, proprio dalla sua Calabria arrivano notizie per lui sempre più allarmanti.

Non è la prima volta e si prevede che non sarà l’ultima, quel che è accaduto con la sentenza del processo “Maestrale-Carthago”, un regime abbreviato nato dalla fusione di tre diverse operazioni “antimafia” condotte dalla Dda sotto la direzione della procura di Catanzaro.

Lo stile delle indagini è sempre lo stesso. In compagnia di grossi calibri della ‘ndrangheta si ritrovavano come coimputati quelli che il procuratore Gratteri ha sempre definito “la zona grigia”, composta di avvocati, professionisti, amministratori locali. Sono i nomi destinati a comporre i titoloni dei giornali e il succo delle conferenze stampa che consentivano a procuratori e alti ufficiali di gonfiare il petto mentre pronunciavano parole come “infiltrazioni”. Cui andrebbe sempre affiancata per assonanza quella che suona come “intercettazioni”. Che sono, insieme alle accuse spesso calunniose dei “pentiti”, le principali fonti di prova.

Il processo “Maestrale-Carthago” non è sfuggito alle regole. Le captazioni sono state centinaia e centinaia e sono andate avanti senza limiti temporali, spesso autorizzate con la formula “visto, si autorizza”. Nel caso specifico, non si è tenuto conto neppure del fatto che molti interlocutori parlavano un calabrese molto stretto, e si sa che quello che va dal Tirreno allo Jonio, dalla Sila all’Aspromonte e alle Serre è forse il dialetto più difficile da districare, per chi abbia davvero voglia e interesse a capire.

Nella rete dei concorsi esterni e dei traffici di influenze, cioè dei reati più indefiniti e indefinibili, sono finiti proprio i “personaggi” che facevano gonfiare il petto agli investigatori e riempivano i titoloni di giornali, cioè coloro che nei giorni scorsi sono stati assolti.

Parliamo prima di tutto di un famoso avvocato vibonese come Francesco Sabatino (che importa se la sua vita nel frattempo è stata distrutta?) per il quale il pm aveva chiesto 8 anni e 9 mesi di carcere. O del suo collega Giacomo Franzoni, che secondo l’accusa avrebbe dovuto trascorre i prossimi 8 anni in galera. Possiamo citare ancora l’ex direttore generale al turismo della Regione Calabria Pasquale Anastasi o l’ex consigliere provinciale Gianfranco La Torre nei cui confronti la richiesta era stata di sei anni a testa. Tutti assolti.

In definitiva, su 91 imputati che si sono presentati nel rito abbreviato davanti al gup distrettuale di Catanzaro Piero Agosteo, ben 42 sono stati assolti. Siamo molto vicini al 50%, in un processo in cui le intercettazioni e le deposizioni dei collaboratori mafiosi la fanno sempre da padroni.

Ora una riflessione proprio su quei controlli telefonici e ambientali che piacciono tanto al Fatto quotidiano che ieri ha dato la parola a Nicola Gratteri, è d’obbligo. Prima di tutto per alcune precisazioni.

Non è vero che il limite dei 45 giorni sia così rigoroso. Prima di tutto perché la possibilità di una proroga c’è. Solo che la nuova legge ne pone alcune regole precise, e probabilmente sono proprio queste che non piacciono né ai pm né a quei gip che sono abituati a usare il prestampato del “visto, si autorizza”. Perché per ottenere il prolungamento delle captazioni occorrono nuovi elementi indispensabili per le indagini e che siano anche “specifici e concreti”. Inoltre dovranno essere anche oggetto di “espressa motivazione”. Bisogna lavorare, insomma, e non andare a spanne, come troppo spesso si fa.

Tutti problemi che però non riguarderanno, anche con la nuova legge, né le indagini condotte dal procuratore Gratteri a Napoli né quelle dei suoi colleghi siciliani o calabresi. Perché tutti loro, e magari anche in Liguria, se continueranno con lo stile che ha caratterizzato le inchieste di La Spezia e Genova che hanno riguardato tra gli altri Giovanni Toti, saranno sempre protetti dall’ombrello dell’ ”antimafia” e quindi del doppio binario procedurale.

Come è stato in tutte le inchieste calabresi degli scorsi anni, a partire dal boccone grosso del “Rinascita Scott”, il cui primo grado è comunque finito con il 38% di assolti, fino a “Imponimento” e a “Maestrale-Carthago”, nel quale le condanne hanno riguardato quasi esclusivamente boss della ‘ndrangheta la cui appartenenza alle cosche non è stata mai messa in discussione.

Quale è dunque il problema? Lo chiediamo al dottor Gratteri, ma anche ai sindacalisti in toga della Anm. Forse qualcuno teme, visto che anche con le intercettazioni a gogo non si riesce neppure a far condannare la metà degli imputati, che con qualche limite temporale o regolamentare si dimostri l’imperizia di tanti di voi? È questo il vero problema, la scarsa professionalità di troppe toghe?