Non è passata inosservata l’enfasi del ministro della Giustizia Carlo Nordio nel passaggio, recitato a braccio, in cui si rivolgeva direttamente alla magistratura. Un discorso che ha lasciato da parte la retorica e i tentativi di accomodamento, come mai prima d’ora, con un attacco frontale all’intera categoria, fino a questo momento affidato ai politici di professione.

Nordio parla, consapevolmente, in diretta Rai, dunque, potenzialmente, nelle case di tutti gli elettori. I fronti contrapposti sono compatti: non è solo la magistratura ad aver superato le divisioni correntizie, avvisa Nordio, ma anche la maggioranza, grazie agli attacchi della magistratura. E la maggioranza, unita più che mai, non farà alcun passo indietro. Quello del guardasigilli sembra un discorso calcolato, che mira a riportare la questione nel campo della politica, pur sfruttando un linguaggio giuridico, nella speranza, forse, che la magistratura commetta falli di frustrazione.

Ma cambierebbe poco: qualsiasi decisione, specie sul tema migranti, ora più che mai potrà essere interpretata in questo senso, giuridicamente fondata o meno. Il tappo è saltato e la postura del ministro sembra esserne la dimostrazione. E non importa se il suo discorso è impreciso e non risponde a tutte le domande: è convincente, per i non addetti ai lavori, dotato di una sua coerenza interna e dunque tanto basta a convincere gli indecisi che forse a gestire male le cose sia stata la Corte penale internazionale (con una certa dose di volontà) e non l’Italia.

Tant’è che per rendere l’arringa più efficace viene omesso un particolare, per tutta la durata del discorso: i crimini contro l’umanità addebitati ad Almasri, rimasti sullo sfondo di un discorso che complica e semplifica al tempo stesso. Nordio pizzica la stampa - che «ha diffuso in questi giorni tutta una serie di notizie che, come si vede, erano inventate e in parte sbagliate» -, ma poco male. Comprende i partiti di minoranza - «non me la sto prendendo con l’opposizione» -, che alla fine fanno il loro lavoro.

A deluderlo - «anche se non è arrivato inaspettato» - è l’atteggiamento «di una certa parte della magistratura» che «si è permessa di sindacare l’operato del ministro senza aver letto le carte», leggerezza che si può perdonare ai politici, ma non alla magistratura, che per mestiere fa questo. E, dunque, il proprio mestiere non lo sa o non lo vuole fare, si potrebbe leggere tra le righe. Un momento che raccoglie gli applausi a scena aperta dei deputati di maggioranza, che caricano il ministro per il successivo affondo: «Tenuto anche conto dei precedenti» - come la protesta durante l’inaugurazione dell’anno giudiziario - «se questo è il loro modo di intervenire in modo imprudente, in modo per certi aspetti sciatto, senza aver letto le carte, questo rende il dialogo molto, molto difficile.

Il dialogo che ci viene suggerito e talvolta anche così a calde lettere in questo modo diventa molto, molto, molto, molto più difficile». Quattro sottolineature che suonano come una sentenza definitiva: il tavolo al quale avrebbe fatto volentieri sedere l’Anm è stato sparecchiato. E, dunque, via libera alle riforme, senza più tentativi, anche blandi, di mediazione: «Se agli inizi vi erano delle esitazioni (e perciò: volevamo venirvi incontro, nda), oggi non vi sono più. Andremo avanti, andremo avanti fino in fondo, senza esitazione e fino alla riforma finale». Insomma: questa guerra la vincerà la politica. Come quella contro la Cpi.