Perché l’Osservatorio femminicidi di Repubblica, curato da Alessia Ripani, non menziona Sharon Verzeni nell’elenco delle vittime? Come mai i giornali e le trasmissioni televisive continuano a definire questo delitto “omicidio”?
Chiariamo in premessa che la figura del femminicidio è l’uccisione di una donna per motivi di genere, ovvero l’eliminazione della donna in quanto tale. Per definire un’aggressione come femminicidio non è necessario che vi sia un legame familiare tra l’aggressore e la vittima, requisito che invece contraddistingue la violenza domestica. Ogni volta che un uomo uccide una donna perché è donna è femminicidio. Ora veniamo al caso concreto.
L’assassino di Sharon Verzeni era da tempo indagato per maltrattamenti in famiglia perpetrati contro la madre Kadiatou e la sorella Awa, la quale sottolinea il filo rosso che lega le violenze che il fratello ha compiuto su di loro con l’uccisione di Sharon: “È arrivato a uccidere, quella notte la vittima avrei potuto essere io”. E l’affermazione è drammaticamente vera, tanto che dopo le denunce sporte dalle due donne la Procura di Bergamo aveva attivato il Codice rosso.
Dalla ricostruzione degli inquirenti risulta che la notte in cui uccide Sharon, Sangare incontra prima due minorenni, forse li minaccia ma non li uccide, prosegue il cammino, incrocia due ragazzi che diverranno testimoni del reato, passa oltre, cerca una donna. Quando vede Sharon camminare in direzione opposta alla sua inverte il senso di marcia e la accoltella.
Non uccide la prima persona che incontra, uccide una donna e lo fa con fredda lucidità, la stessa che avrà dopo il delitto quando nasconderà l’arma e farà perdere le sue tracce con tale abilità che soltanto con l’aiuto delle telecamere e delle testimonianze via via raccolte, si arriva a individuarlo come autore del crimine.
Un femminicidio vero e proprio che non si sarebbe esitato a definire tale se l’autore fosse stato il compagno della vittima, sul quale si erano da subito addensate le ombre del sospetto. Sergio Ruocco sarebbe stato il colpevole perfetto e già si preparavano titoli a tutto campo sui giornali ma Sangare no, non può essere un femminicida, non rientra nel cliché perché lui non può essere un prodotto della società patriarcale e si evita di definirlo tale. Si parla di “omicidio Verzeni” e lo si esclude dall’elenco delle donne vittime della violenza maschile.
Non sappiamo se Sangare abbia problemi di personalità o idiosincrasie, può darsi, ma tali disturbi non vanno confusi con il vizio di mente, argomento da sempre invocato dalla difesa degli uomini violenti che non sembra possa trovare ingresso in questo caso.
Sangare ha ucciso con premeditazione, è accertato che avesse con sé quattro coltelli e dopo il delitto ha cercato di far perdere le sue tracce.
Non è un malato di mente, è un femminicida e, anche se a alcuni non piace, il femminicida la notte del 30 luglio scorso è un uomo che nulla ha a che fare con il patriarcato, che cova odio nei confronti del genere femminile e uccide di notte per strada una donna soltanto perché è donna.
Il femminicidio è una piaga dolorosa, non può piegarsi ai cliché, non può essere invocato a seconda dei casi, ma soprattutto non può essere misconosciuto quando l’autore non corrisponde alla figura che alberga nel nostro immaginario.