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LaPresse
Abbiamo atteso due lunghi giorni. Abbiamo sperato fino all’ultimo che arrivasse una smentita, una rettifica. E invece è arrivata un’imbarazzata conferma: il nuovo presidente dell’Anm, Cesare Parodi, ha pronunciato davvero quella frase: «Ci farebbero comodo due magistrati morti».
Nessuno smentisce. Nessuno può. Gli uomini più vicini a Parodi tentennano, parlano di fraintendimento, di "suggestioni" (sic). Non sappiamo bene cosa intendano per suggestione, ma sappiamo ciò che la frase suggerisce a noi: incredulità, sconcerto. Tanto più in un Paese che conosce il prezzo del sangue versato in nome della giustizia. Il Paese di Giovanni Falcone e Paolo Borsellino.
E di Rosario Livatino, massacrato dai sicari di Cosa nostra nelle campagne dell’agrigentino. Di certo il presidente Parodi lo sa bene, ma è sempre utile ricordare come fu trucidato quel giovane giudice che lottava contro Cosa nostra: era il settembre del ‘90, Livatino viaggiava senza scorta sulla statale Caltanissetta-Agrigento. Stava andando in tribunale nella sua vecchia Ford Fiesta color amaranto. L’auto fu speronata, lui tentò la fuga a piedi, i killer lo ferirono a una spalla, poi lo raggiunsero e lo freddarono come un cane. Non aveva neanche 40 anni.
Ma la lista di magistrati uccisi è infinita, una lunga scia di sangue che passa anche per Cesare Terranova, ucciso a Palermo insieme al suo caposcorta Lenin Mancuso; o Antonino Scopelliti, ammazzato con due colpi in testa per evitare che rappresentasse la pubblica accusa in Cassazione nel maxi processo a Cosa Nostra. E tanti, tanti altri
E ora il presidente dell’Associazione nazionale magistrati dice che per risollevare la magistratura «sarebbero comodi due morti».
Forse è stata una battuta infelice, un attimo di sbracata confidenza, un’uscita da osteria e non da palco istituzionale. Ma non basta, non può bastare a giustificare. Quelle parole smascherano il pensiero di una magistratura che sembra aver perso i propri punti di riferimento, che si aggrappa a tutto, anche all’indicibile. È il grottesco il risultato della sua degenerazione politica e mediatica. Di un potere che sbanda, che si convince che il referendum sulla separazione delle carriere sia uno scontro finale per la conservazione del proprio potere. E allora dice l’indicibile, si spinge oltre, scavalca il baratro e vi si sporge con una leggerezza che fa rabbrividire.
E non vogliamo credere che qualcuno sia davvero convinto che ci sia bisogno di altri martiri, di alti morti ammazzati a causa di quella toga da magistrato che oggi indossa anche il presidente dell'Anm. Perché se così fosse, allora il problema non sarebbe più solo la riforma, la separazione delle carriere, il potere delle toghe. Sarebbe la giustizia stessa. E a quel punto, l’unica domanda da farsi è: chi salverà la giustizia da questa pezzo di magistratura? E qualcuno batterà un colpo, prenderà le distanze?