«Dobbiamo essere pronti alla guerra». Sono parole che, fino a qualche tempo fa, non avremmo mai pensato di sentire. Parole che ci portano in un’altra epoca, che evocano ombre minacciose che si stagliano tra le esplosioni di Gaza, Tel Aviv, Kiev. Ma, soprattutto, sono le parole di un generale. Di più: del Generale Carmine Masiello, Capo di Stato Maggiore dell’Esercito Italiano. Frasi pronunciate poco prima dell’estate e diventate “virali” nelle chat dell’universo militare.

«L’esercito non deve occuparsi di burocrazia - ha spiegato in modo chiarissimo, quasi “brutale”, il capo di Stato maggiore Masiello -. L’esercito è fatto per prepararsi alla guerra». Non è un invito alla guerra - ci mancherebbe, il generale fa capire più volte che nessuno come chi veste la divisa dell’esercito “teme” la guerra - ma di certo il messaggio è netto: «Questo deve essere un messaggio molto chiaro che dovete avere tutti in testa. Fino a qualche tempo fa, “guerra” era una parola che non potevamo neanche pronunciare. Ma oggi la realtà ci ha chiamato a confrontarci con la guerra. Questo non vuol dire che l’esercito la voglia; vuol dire però che dobbiamo prepararci».

E a questo punto dobbiamo chiederci quale sia la risposta del Ministro della Difesa Guido Crosetto; qual è il suo punto di vista rispetto a questo vero e proprio messaggio di allerta. Condivide, il ministro Crosetto, le preoccupazioni del Generale Masiello? È al corrente di questa posizione che invita l’esercito italiano a una preparazione più concreta e mirata all'eventualità di un conflitto?

Perché una cosa è certa: quel «dobbiamo essere pronti» non può essere sottovalutato. È un’esortazione che richiede chiarezza, specie se pronunciata nel cuore dell’Europa, ovvero un continente che ha costruito la propria identità su una promessa di pace perpetua.

Insomma, di colpo siamo catapultati in un clima che ricorda scenari remoti. E ci chiediamo, e chiediamo al ministro della difesa: è davvero il momento di guardare alla guerra non più come a un fantasma, ma come a una possibilità concreta? Perché se l’allarme arriva dal Generale che guida lo Stato Maggiore dell’Esercito, allora dobbiamo prenderlo molto su serio. Non è un politico in cerca di consensi, non è un avvertimento che si possa liquidare come retorica. È la voce di chi ha la responsabilità di difendere il Paese.

L’Europa stessa ha costruito la sua identità sulla promessa che mai più saremmo stati costretti a indossare l’elmetto, sull’idea che mai più avremmo visto generazioni sacrificare i propri figli. E ora, all’improvviso, l’ordine delle cose sembra vacillare. Il conflitto in Ucraina, la situazione esplosiva in Medio Oriente e, come se non bastasse, il nuovo isolazionismo di Trump, sembrano esporre sempre più noi tutti alla guerra.

In questo contesto, la decisione del generale Masiello di rinominare il Corso di Stato Maggiore come “Scuola di Guerra” assume un peso specifico, un avviso sinistro: è il segno di un cambio di paradigma, è un messaggio forte che risuona nei corridoi delle nostre istituzioni che hanno il dovere di informare l’opinione pubblica rispetto a uno scenario del genere.