Due sentenze storiche della Corte di Giustizia europea scrivono anche la parola fine su alcuni contenziosi durati anni. La Corte Ue si è pronunciata nei confronti dei colossi statunitensi Apple e Google, sottolineando principi molto chiari: le tasse le devono pagare tutti in Europa e non sono ammesse posizioni dominanti che danneggiano altri player meno attrezzati e forti economicamente, dissolvendo ogni possibilità di concorrenza. Inoltre, vengono confermati i provvedimenti che già in passato definirono con coerenza l’orientamento dell’Unione europea.

Il contenzioso tra Apple e Commissione Ue risale ad una decina di anni fa. Il colosso di Cupertino si è insediato in Irlanda nel 1980. Nel quartier generale di Cork lavorano 6 mila addetti (un quarto dei dipendenti assunti in tutta Europa). Il primo scontro davanti ai giudici tra Apple e Unione europea è datato 2014. L’Antitrust della Commissione europea contestò in quella occasione all’azienda californiana di aver beneficiato di aliquote vantaggiose, derivanti da accordi fiscali sottoscritti con l’Irlanda che concesse a sua volta, in violazione della legislazione vigente, aliquote risibili (inferiori all’ 1% e di gran lunga inferiori al 12,5% previsto).

Nel 2016 la Commissione europea fu irremovibile nello stabilire che Apple dovesse pagare 13 miliardi di euro di tasse non versate, poiché il regime fiscale applicato in Irlanda è stato considerato un vero e proprio “aiuto di Stato”, vietato nel vecchio continente. L’ingente somma venne versata due anni dopo non nelle casse di Dublino, ma su un conto di garanzia. Da quel momento iniziò la battaglia legale. Il Tribunale europeo, investito della questione, nel 2020, ha annullato la decisione dell’Antitrust, rilevando l’assenza di prove rispetto al presunto trattamento vantaggioso riservato dall’Irlanda ad Apple.

Con un nuovo ricorso la Commissione ha voluto insistere sulla via giudiziaria per veder confermato il proprio orientamento. Ieri, l’epilogo, con la sentenza della Corte di Giustizia che ha annullato la sentenza del Tribunale europeo in materia di ruling fiscali adottati dall’Irlanda in favore di Apple. È stata così confermata la decisione della Commissione europea del 2016. Margrethe Vestager, vicepresidente della Commissione Ue con delega alla Concorrenza, ha sempre creduto in un esito favorevole della vicenda per l’Europa e ritiene che si sia affermata la “giustizia fiscale”: «La Corte di Giustizia ha confermato l’approccio della Commissione secondo cui la licenza di proprietà intellettuale da parte di Apple per le aree urbane irlandesi e i relativi profitti avrebbero dovuto essere assegnati alle filiali irlandesi, quindi Apple avrebbe dovuto pagare tasse per 13 miliardi su tutti i relativi profitti in Irlanda. Questo significa che le relative somme, che sono state su un conto vincolato in Irlanda per un bel po’ di anni, durante i procedimenti, devono essere rilasciate allo Stato irlandese».

Diverso il commento di Apple. Il gruppo di Cupertino esprime “delusione” tanto per la decisione dei giudici quanto per le difficoltà ad operare in Europa. «Questo caso – sostiene Apple - non ha mai riguardato la quantità di tasse che paghiamo, ma il governo a cui siamo tenuti a pagarle. Paghiamo sempre tutte le tasse che dobbiamo ovunque operiamo e non c’è mai stato un accordo speciale. Apple è orgogliosa di essere un motore di crescita e innovazione in Europa e nel mondo e di essere sempre uno dei maggiori contribuenti al mondo».

L’altra storica sentenza della Corte di Giustizia dell’Unione Europea arrivata ieri ha riguardato Google e si riferisce ad un contenzioso del 2017. I giudici di Lussemburgo hanno confermato la maxi multa da 2,4 miliardi di euro inflitta a Google negli anni scorsi. Il colosso informatico di Mountain View è ritenuto responsabile di aver abusato della propria posizione dominante su vari mercati nazionali della ricerca su internet.

In questo modo ha favorito il proprio servizio di comparazione di prodotti oscurando i concorrenti. Il 27 giugno 2017, la Commissione europea ha rilevato che in tredici Paesi dello “Spazio economico europeo” ( See), sulla pagina di Google, venivano privilegiati i risultati di ricerca generale, i risultati del comparatore di prodotti Google rispetto a quelli dei comparatori di prodotti concorrenti.

La valorizzazione delle segnalazioni in Google shopping ha determinato un abuso di posizione dominante in danno dei concorrenti, violazione che va contro i principi di “giustizia fiscali” più volte richiamati da Margrethe Vestager. «Le sentenze – ha detto la responsabile alla Concorrenza -, dimostrano che le grandi aziende non sono al di sopra della legge. È importante dimostrare ai contribuenti europei che per una volta si può raggiungere la giustizia fiscale».