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Quando si sente dire “donne e bambini”, nella situazioni di guerra o comunque di atti violenti, si afferma qualcosa di più che non il semplice attribuire ai due soggetti il ruolo di vittime. Li si indica anche come persone di per sé deboli, indifese, e quindi da proteggere con particolare cura.
Ma se il concetto ha un senso molto chiaro per quel che riguarda l’infanzia, la medesima attribuzione di debolezza in sé è contraddittoria e può diventare fastidiosa per le donne, soprattutto nel mondo occidentale del ventunesimo secolo. Per lo meno in quello dell’emancipazione femminile, dovendo per forza e con rammarico escludere tutti questi fantasmi di donna che popolano le nostre città, coperte dalla testa ai piedi e i cui mariti, padri e fratelli musulmani - l’abbiamo sentito proprio ora in tv - affermano che le loro mogli figlie e sorelle devono solo stare in casa a lavorare e pregare.
Dando per scontata nella nostra società una forte emancipazione delle donne, nello studio, nel lavoro, nella famiglia e nelle relazioni sociali, due diversi episodi di questi giorni in cui si è anche celebrata la Giornata internazionale contro la violenza sulle donne, ci hanno colpito per la loro arretratezza simbolica. Il primo caso riguarda in apparenza un uomo, il giornalista del Tg5 Enrico Fedocci, violato nella sua privacy dal provvedimento di un giudice che ha disposto controlli sulla sua situazione lavorativa, previdenziale, reddituale ed economica da produrre in giudizio in una causa di divorzio che riguarda la sua attuale fidanzata, senza che lui abbia con lei alcun rapporto giuridico.
Il giornalista ha avviato un ricorso al garante della privacy e intanto il deputato di Forza Italia Enrico Costa ha presentato un’interrogazione auspicando modifiche alla norma voluta dal ministro Cartabia, che ha consentito quel tipo di procedura. Ma quello che colpisce è la totale spersonalizzazione di una donna, la protagonista del divorzio, come soggetto capace di autodeterminarsi anche come capacità economica.
Per cui si dà per scontata, e stupisce che la giudice, proprio perché donna non si renda conto di quanto grave sia quel che ha deciso, la debolezza anche economica della parte femminile del rapporto. Per cui, se hai un fidanzato, sarà lui a dover provvedere a te, in ogni ambito. Proprio come capita nelle famiglie di soggetti di fede islamica. E al diavolo il tuo percorso di emancipazione e la tua voglia di libertà, senza i lacci patriarcali degli uomini di famiglia o addirittura fuori della famiglia.
E veniamo alla seconda questione, gravissima per i cultori dell’indipendenza e imparzialità della magistratura. Ci sono due processi in corte d’assise per fatti molto gravi e di grande risonanza mediatica per le modalità con cui furono uccise Giulia Tramontano e Giulia Cecchettin. Due giovani donne sacrificate sull’altare di amore finto e malsano, e diventate simbolo della lotta contro i reati a sfondo sessuale e il femminicidio in particolare. Ora è possibile che per puro “caso” la sentenza di condanna all’ergastolo per uno dei due assassini e la richiesta della stessa pena per l’altro siano capitati proprio nella giornata del 25 novembre, con tutta l’attenzione mediatica puntata sulla violenza nei confronti delle donne? Non ci crede nessuno.
Non c’è casualità. Questa presenza processuale, con quella parola ripetuta due vote, “ergastolo”, nel bel mezzo delle manifestazioni di piazza e delle discussioni politiche è proprio brutta. E puzza proprio di quel protezionismo da parte dei giudici sulle donne che tende a relegarle nel mondo della debolezza di “donne e bambini”. O peggio in quello in cui il loro corpo deve essere coperto in quanto “impuro”.