“Striscia la notizia” non fa solo satira. Fa anche giornalismo. L’ha sempre fatto. Come “Le Iene”, del resto. E, facendo giornalismo, adesso “Striscia” ha permesso a tutti di conoscere lo stile di vita, i pensieri e gli istinti di Andrea Giambruno. Se non è informazione questa. Infatti, ora siamo informati a proposito delle idee e persino delle pulsioni di un uomo pubblico. Pubblico due volte, direttamente e di riflesso, perché è un giornalista, anzi un “volto noto” della televisione, come si dice, visto che conduce Studio Aperto, il tg di Italia 1; e perché è ( stato) il compagno del presidente del Consiglio italiano fino a quando Meloni non l’ha scaricato. Naturalmente Meloni non ha gradito il racconto machista delle performance sessuali del compagno con altre donne. Immagino, però, che non abbia apprezzato neppure l’idea che Giambruno ha dimostrato di avere in generale sulle donne e sul loro diritto a fare carriera se lo meritano. E soprattutto penso all’enorme imbarazzo che la prima ministra deve aver provato per affermazioni che, a prescindere dalla mancanza di rispetto nei suoi confronti, una donna nella sua posizione non può ignorare. Sul piano politico, tollerare significherebbe in qualche modo approvare, condividere le idee di un campione della categoria degli “Uomini che odiano le donne”, per dirla con Stieg Larsson. Ché poi Meloni aveva già sopportato abbastanza, se non altro in pubblico ( in privato non lo so e non mi interessa). Penso al paternalistico invito rivolto da Giambruno alle ragazze a non alzare il gomito così da tenere a bada il lupo che avesse intenzione di attaccarle.

Ora, un giurista fa bene a chiedersi se “Striscia la notizia” avesse il diritto a trasmettere i fuori onda. La questione in effetti è interessante. In fondo, Giambruno ha confidato fatti e opinioni a una ristretta cerchia di persone e si sarebbe ben guardato dall’esprimerle allo stesso modo in pubblico. Quindi gli sono stati “rubati” pensieri e racconti in violazione della sua riservatezza e ha subito una diffamazione? No. A mio giudizio no e spiego perché. Il diritto di cronaca, sviluppo della libertà di manifestazione del pensiero, ha diversi limiti ed è sottoposto a correttivi, è vero. La verità dei fatti oggetto del racconto è il più importante ma la narrazione deve rispettare anche altri due criteri: la moderazione e l’interesse pubblico. E allora, tornando a Giambruno, che il fatto sia vero, che cioè l’ex compagno di Meloni abbia fatto quelle dichiarazioni, non ci sono dubbi a meno che “Striscia la notizia” non ha assunto Crozza per imitarne la voce. Quanto alla moderazione, le parole appartenevano a lui. Gentili non lo erano affatto: concordo. Ma Giambruno può solo prendersela con se stesso. Allora resta da valutare l’interesse pubblico a sapere quello che il giornalista di Mediaset ha detto in privato. Ebbene, direi di sì. La stampa è il “cane da guardia della democrazia” e noi abbiamo tutto il diritto di conoscere, attraverso la sua opera, quali idee circolino ( circolassero) a casa di Meloni. Oggi molti plaudono alla sua scelta di separarsi ma forse ci sarebbe da chiedersi anche come abbia potuto accettare che le idee di Giambruno sulla società e sulle donne si infiltrassero nel suo tinello, nella sua vita di tutti i giorni. Nella vita di una prima ministra la cui storia racconta al mondo che le donne non hanno e non devono porsi limiti. Che possono e devono ambire anche a guidare un grande Paese come il nostro. Comunque, i cittadini avevano il diritto di sapere queste circostanze per farci un’idea su di lui e - caso mai - su di lei. Se fossero fatti privati, Meloni non avrebbe diffuso un comunicato per dirci come è andata a finire. E questo mi sembra un argomento conclusivo.

Diritto di cronaca, dunque. Ma anche dovere di cronaca. Circa vent’anni fa un uomo politico partecipò al “Maurizio Costanzo Show” dove raccontò che nella sua città conduceva una vita di stenti. Il direttore del giornale del luogo il giorno dopo replicò raccontando una storia assai diversa, popolata da autovetture di un certo pregio e viaggi all’estero. L’uomo politico se ne dolse e querelò. Un giudice illuminato prosciolse il giornalista affermando che nessun rappresentante del popolo può rivendicare il diritto di apparire ciò che non è e che il giornalista ha il compito di “rettificare” le informazioni false di cui viene a conoscenza. Allora non si parlava di fake news e fact checking ma il giudice in questione era moderno. “Chi dice il falso si espone alle legittime critiche di chi conosce la sua reale condizione e in particolare di quei mass media che hanno diffusione nell’area nella quale il politico è impegnato e nella quale vi è pertanto l’interesse a conoscerne e farne conoscere le reali condizioni di vita privata”, diceva quella sentenza. E il principio vale naturalmente sia per Cesare che per la moglie e, se Cesare è una donna, per il marito. “Quanto più elevati sono il ruolo sociale di un soggetto e la sua esposizione mediatica, tanto più le sue vicende private hanno riflessi pubblici, sino alla tendenziale abolizione del confine tra pubblico e privato”, scriveva del resto il giudice di Cassazione Giacomo Fumo nel 2012. A proposito di interesse pubblico e moderazione, mi è venuta in mente la storia di Segre che ha raccontato i fatti suoi e della compagna Seymandi a tutti gli invitati a una festa. Lì non ci vedo né interesse pubblico né moderazione. Ma non avremo una sentenza perché Seymandi ha ritirato la querela. Un’ultima cosa. Mediaset e “Striscia la notizia” hanno dimostrato grandi autonomia e indipendenza. Chapeau.