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Intervistato da Il Giornale a margine della vicenda Acerbi-Juan Jesus, il sociologo “di sinistra” Luca Ricolfi spiega che insultare qualcuno chiamandolo «negro» non ha niente a che vedere con il razzismo, che la discriminazione razziale è «tutt'altra cosa», che lui è contrario alle «categorie protette» e che tutta questa dilagante permalosità sarebbe colpa del politicamente corretto, anzi del «follemente corretto».
E insomma che diavolo mai avranno da lagnarsi quei negri, che poi sono anche un po' ignoranti visto che non conoscono i fondamenti del liberalismo: «In una società liberale un insulto è un insulto, è un insulto, è un insulto per dirla con Gertrude Stein», certifica Ricolfi puntando infine il dito contro il vero nemico del progresso sociale: l’antirazzismo, «partigiano, insincero, selettivo e a sua volta razzista». Sembra quasi una gag, una gag riuscita male. Purtroppo quello di Ricolfi è un pensiero molto diffuso nel nostro paese pieno di lamentosi energumeni che strabuzzano gli occhi perché «in Italia non si può dire più niente».
No, caro professore, qui il politicamente corretto non c'entra davvero nulla, nessuno sta abbattendo monumenti, censurando film o sbianchettando romanzi: insultare qualcuno per il colore della sua pelle è razzismo allo stato puro, non ci vuole una laurea in sociologia per saperlo. Solo molta malafede per negarlo.