La creazione di Tribunali del Popolo, votati a giudicare senza contraddittorio né possibilità di difesa per l’accusato e finalizzati a erogare la pena di morte senza appello, è sempre stata una caratteristica del terrorismo. E ne sappiamo qualcosa anche noi in Italia. Questi Tribunali sono esistiti, hanno giudicato, hanno ucciso. Non c’è bisogno di ricordare Aldo Moro, la sua non è stata di certo l’unica esecuzione di quegli anni. Bisognava crederci molto, nel moto rivoluzionario contro il potere, per arrivare a uccidere. E a stabilire che la guerra è guerra, per chi ritiene di essere, appunto, in guerra. Ma il punto tragico è prima ancora del gesto di dare la morte, la pretesa di farlo, senza aver avuto investimento alcuno né da alcuno, nel nome del popolo.

Assistiamo oggi, e il paragone non è per niente peregrino, all’esistenza di una sorta di guerriglieri della notte, di tribunale supremo dell’inquisizione, che si è assunto il compito di “placare la sete di verità del popolo contro gli eretici”. Gli eretici sono tutti quelli, a partire da coloro cui per mestiere è affidato il compito di fare informazione, che non mostrano di avere questa “sete di verità”. A tutti gli altri, al popolo, provvedono loro, i guerriglieri della notte, con la loro attività di factchecking, il “controllo dei fatti”.

Esercitare l’arte del dubbio fa parte della storia della cultura e della filosofia, e il controllo delle versioni ufficiali dei fatti è, ed è stata, un’esigenza, anche politica, doverosa, soprattutto in presenza di fatti tragici. Un esempio per tutti, la strage del 12 dicembre 1969 a Milano e la successiva morte dell’anarchico Pino Pinelli, volato dalla finestra della questura tre giorni dopo. Di fronte a versioni istituzionali che apparivano poco credibili e contraddittorie sulla storia di quel “volo” e di una magistratura poco coraggiosa, e a un Pci più di governo che di lotta, furono i giovani a impugnare il diritto al dubbio. Persino a scrivere un libro, “Strage di stato”, che dava la propria versione alternativa di quei tragici fatti.

Si chiama controinformazione. Non esiste più, come non esiste il giornalismo d’inchiesta, a meno che non vogliamo chiamare con questo termine l’attività velinara e passiva di certi cronisti giudiziari. Esiste invece e purtroppo un altro fenomeno, che ha sostituito la dignità del curioso con la miseria del ficcanaso. Ficcanasare nella vita pubblica e privata del vicino di casa, nell’epoca in cui ciascuno di noi è vicino di casa di tutto il mondo tramite i social, cogliere le sue magagne e usarle per scarnificare il suo corpo e i suoi sentimenti, tutto nel nome della ricerca della verità. Perché per coloro che si sono autoproclamati “controllori dei fatti”, non esistono ostacoli o insuperabili buchi della serratura.

Se ti devo mettere nudo fino a toglierti la pelle, lo faccio in nome della verità. Se poi io sono un comunicatore con centinaia di migliaia o magari milioni di ammiratori gregari che si sentono grandi in quanto da me influenzabili, è davanti a tutti costoro che tu sarai nudo e spolpato nel corpo e nella mente, sentimenti compresi. Nessuna pietà, perché i Tribunali del Popolo conoscono un’unica sentenza, quella della pena di morte. Poi arriveranno schiere di psicologi, quando accadono fatti con epiloghi tragici come quello della signora Giovanna Pedretti, titolare della pizzeria “Le Vignole” a S. Angelo Lodigiano, a spiegarci i variegati moti dell’animo che possono portare una persona al suicidio. Certo, tutto vero. Ma, come ci spiegava il professore di storia al liceo, a scatenare una guerra c’è sempre una “causa occasionale”, che va a cadere in un contesto già pronto, ma senza la quale forse la guerra non ci sarebbe stata.

Per nostra fortuna nessuno di noi ha in tasca le certezze di Marco Travaglio, il quale ritiene che i giustizieri della notte Selvaggia Lucarelli e Lorenzo Biagiarelli abbiano avuto il “merito” della “verifica dei fatti”. Cioè, di fronte a una signora che gestisce un ristorante nella bassa milanese dove si mangia bene tanto che è sempre pieno, e che forse combina qualche pasticcio con i social, ecco partire di scatto un cuoco, cioè una specie di collega, il quale, travestito da giornalista d’inchiesta e controllore dei fatti, “smaschera” la sventurata, rea di aver messo insieme un messaggio di aprile con una riposta di otto mesi dopo. Factchacking, factchacking, controllo dei fatti, controllo dei fatti! Allo squillo di tromba del cuoco risponde dall’altra stanza dello stesso appartamento lo squillo di risposta della fidanzatina, che mette sul palcoscenico dei milioni di suoi gregari il corpo scarnificato della pizzaiola lodigiana. Che non è certo Aldo Moro. Ma che ne ha ormai assunto la stessa immagine sacrificale.

Alla domanda sul perché stia accadendo tutto ciò e perché esistano questi giustizieri della notte e quali scopi vogliano raggiungere, sono state date diverse risposte, tutte credibili: esibizionismo, potere, soldi eccetera. Ma ce ne è una che è forse più comprensibile al mondo dei bambini, perché non hanno ancora imparato a controllarsi, che non a quello degli adulti, più adusi a maschere e astuzie. La risposta è questa: la cattiveria esiste. Non in tutti, ma in alcune persone si. Poi molti la sanno controllare e, nel corso della loro vita non fanno, come si dice, male a una mosca. Ma altri invece non controllano, ma anzi coltivano la propria cattiveria. E con soddisfazione. Cerchiamo di non dar loro troppe occasioni.