«Aridatece er Puzzone», recitava un vecchio adagio romano di ormai incerta origine, a cui si ricorre quando il popolo prova nostalgia per un personaggio caduto in disgrazia troppo presto o troppo in fretta. Di “puzzoni” (o di conti di Montecristo, se si vuole elevare il dibattito) la storia della politica italiana e non solo, in effetti è piena: leader politici prima osannati, poi vittime di crisi di rigetto nel consenso, e infine reclamati a gran voce per un bis concesso senza farsi troppo pregare.

A livello planetario, in questo momento, il padre di tutti i “puzzoni” potrebbe essere l'ex-presidente Donald Trump, col vento in poppa per essere richiamato dagli americani alla Casa Bianca, a maggior ragione dopo la amara performance di Joe Biden nel primo duello televisivo. Da noi, per fare gli esempi più noti, la Seconda Repubblica ha visto Silvio Berlusconi e Romano Prodi redivivi, col primo sulla scena fino alla fine.

Nel suo piccolo, anche il popolo del M5s sta vivendo il proprio momento “aridatece er Puzzone”, laddove sembra ormai conclamata una certa nostalgia per Alessandro Di Battista, dimessosi a suo tempo sia dal Parlamento che dal Movimento per incompatibilità con la svolta “governista” pentastellata impressa prima da Luigi Di Maio, poi da Giuseppe Conte. Incalzato già da tempo dai cronisti sull'ipotesi di un rientro, il diretto interessato ha più volte negato, ma negli ultimi tempi il suo attivismo in politica estera sembra fatto su misura per esaltare la frustrazione di quella parte di elettorato che prima votava M5s e che ora si astiene, o che continua a votarlo ma non più di un mal di pancia.

E così, nella stessa giornata in cui Conte parlava a Napoli assieme a Elly Schlein di Campo Largo a netta trazione dem, “Dibba” si è presentato al Senato con 80mila firma raccolte dalla sua associazione “Schierarsi”, per il ddl di iniziativa popolare sul riconoscimento dello Stato di Palestina, alla cui ha raccolta ha contribuito un'altra icona dell'orgoglio grillino come l'ex-sindaca di Roma Virginia Raggi, che però ha preferito proseguire la propria lotta identitaria all'interno del Movimento. E se è vero che quest'ultimo, per Di Battista, è un”esperienza del passato”, qualcuno tra i maligni non esclude che l'azione coordinata dei due politici romani possa avvicinare il passato all'esperienza del M5s di Conte.