Il Decreto sui Paesi Sicuri è un colabrodo, un gioco al massacro orchestrato da un governo che sembra volersi giocare tutto - anche la credibilità - sul contrasto all’immigrazione.

Ormai è chiaro a tutti - tranne forse a qualche anima sperduta nei corridoi di Palazzo Chigi e a “mister X”, Elon Musk - che quel decreto è un fallimento, un bersaglio facile, facile per quei magistrati che vogliono fare rispettare il diritto internazionale, certo, ma anche per quei pochi che l’hanno giurata a questo governo fin dal primo giorno e che si sfregano le mani ogni volta che una nave imbarca una manciata di disgraziati da spedire in Albania.

E così, la famigerata difesa dei confini nazionali (sic!) diventa una pantomima, coi giudici che smontano il decreto pezzo per pezzo. Il diritto europeo impone infatti che ogni richiesta di asilo venga valutata singolarmente, e l’elenco dei Paesi sicuri si rivela una scorciatoia destinata a schiantarsi contro il muro della diritto.

Insomma, il governo ha scelto di combattere una battaglia persa in partenza, sprecando risorse ed energie in una guerra che non porterà a nulla se non a un’ulteriore perdita di credibilità. L’immigrazione è un fenomeno epocale che richiede visione, competenza e una strategia a tutto campo. Non può essere affrontata con decreti d’emergenza che si sgonfiano al primo soffio di vento giudiziario. Ma al momento, a Palazzo Chigi, sembra prevalere la politica del colpo ad effetto.

Basterebbe una rilettura veloce de L’arte della guerra di Sun Tzu per capire che la prima virtù di un generale è quella di saper comprendere quale battaglia valga la pena combattere. E, a occhio e croce, trasformare un fenomeno epocale come l’immigrazione in vessillo ideologico non è una buona idea.

Così come non è una buona idea forzare il diritto e pensare di sfangarla di fronte a una drappello di magistrati che altro non aspetta se non il momento di colpire e affondare.