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Republican presidential nominee former President Donald Trump points to the crowd at an election night watch party, Wednesday, Nov. 6, 2024, in West Palm Beach, Fla. (AP Photo/Julia Demaree Nikhinson) Associated Press / LaPresse Only italy and Spain
L'Europa si prepara al terremoto. Arriverà di certo, sarà di grado elevato, inciderà su numerosi fronti. La presidente von der Leyen saluta la tempesta in arrivo con una dichiarazione all'insegna dell'anonimato: «Ue e Usa sono più che semplici alleati. Siamo legati da una vera partnership che unisce 800 milioni di cittadini. Lavoriamo insieme per un programma transatlantico forte». Il cancelliere tedesco Scholz è meno circospetto: «Sicuramente molto sarà diverso ma la Germania vuole e continuerà a essere uno stretto partner degli Usa».
Prammatica a parte, il cancelliere si attacca al telefono e chiama Macron: «Dobbiamo essere coesi, agire in modo coordinato». Fuor di metafora: prepariamoci all'urto. Il presidente francese non si fa pregare: la pensa allo stesso modo, concorda in pieno. Chiede di rifuggire dalla ' strategia del ciascun per sé' per adottare ' una strategia europea coordinata'. Solo che i Paesi europei, e all'interno di ciascun Paese le famiglie politiche, non la vedono affatto allo stesso modo.
Orbàn non risparmia iperboli: «Il più grande ritorno nella storia politica degli Usa. Vittoria enorme di cui il mondo aveva molto bisogno». Mezzi toni, insomma. La premier italiana, come sempre da un bel po', si ritrova in mezzo. Non esulta come Orbàn, non è fredda e chiaramente preoccupata come Scholz e Orbàn: «Italia e Usa sono nazioni sorelle: alleanza incrollabile, valori comuni, storica amicizia». La evidente diversità nei toni segnala da subito quanto non sia facile, per usare un eufemismo, la 'strategia coordinata' che invocano i due Paesi guida dell'Unione. Una scossa potenzialmente in grado di sovvertire il quadro degli ultimi due anni potrebbe arrivare sul fronte della guerra in Ucraina.
Al momento di proclamarsi presidente senza neppure attendere di avere ottenuto davvero i voti necessari, Trump ha insistito sull' intenzione di mettere fine alle guerre in corso. Ciò che si prospetta non è un cambio di marcia ma un'inversione a U. L'Europa che negli ultimi due anni ha fatto della guerra l'asse della propria identità, considerando il sospetto di 'filoputinismo' il più mortale tra i peccati finirà probabilmente per dover rivedere la posizione. Molti Paesi, ma non quelli dell'Est come la Polonia, lo faranno senza piangerci sopra troppo e forse con un segreto sospiro di sollievo.
Anche i più accalorati sostenitori di Kiev, come la premier italiana, sono in realtà stanchi di un conflitto che all'Europa sta costando moltissimo. Guerra per guerra, il Medio Oriente è invece un'incognita potenzialmente minacciosa. Dalle dichiarazioni anche delle ultime settimane Trump sembra voler offrire a Netanyahu appoggio incondizionato: di certo questo si aspetta il premier israeliano. Se una volta insediato alla Casa Bianca, passerà dalle parole ai fatti, la Ue non potrà seguirlo, per questioni di principio e soprattutto di interesse.
Se le due sponde dell'Atlantico si trovassero attestate su posizioni divaricate su un fronte ad altissimo tasso di coinvolgimento sia materiale che emotivo, il guaio sarebbe di prima grandezza. Comunque vadano le cose nei due conflitti che il rieletto promette di risolvere, il peso economico della Nato, che oggi grava essenzialmente sulle spalle degli Stati Uniti, dovrà essere riequilibrato e trattandosi di spese tutt'altro che indifferenti, in un quadro di massima tensione internazionale ma anche di fortissime difficoltà nelle economie dei Paesi europei, sobbarcarsi il costo di quel riequilibrio sarà doloroso e anche oggetto di una trattativa prevedibilmente tesa. Ma quanto a guai di quel tipo ci sarà di peggio: i dazi.
Trump li ha promessi e ha davvero intenzione di tassare tutti i prodotti che entrano negli States: del 10% se va bene, del doppio se va meno bene. L'impatto sul vecchio continente sarà pesante: il 4% in meno nel commercio globale ma anche un possibile ritorno di fiamma dell'inflazione e una mazzata sull'occupazione. A soffrirne sarà in ogni caso la crescita, che già non versa in ottima salute. Sarà dura per tutti ma per l'Italia più che per gli altri: gli Usa sono il secondo mercato nell'export.
Dopo la Germania e si sa come stanno andando le cose su quel mercato. Insomma, una reazione comune dell'intera Unione sarebbe non solo auspicabile ma indispensabile per reggere al terremoto. Però, nella situazione data, è invece probabile che ciascuno faccia esattamente quel che paventa Macron: ognuno per sé. Poi ci sono le conseguenze politiche, certe ma non del tutto prevedibili.
Va da sé che le forze sovraniste riceveranno una spinta fortissima: l'esultanza di Orbàn e in Italia di Salvini, che ha videomessaggiato le sue congratulazioni con la cravatta rossa dei trumpisti e ci ha tenuto a ricordare che non tutti nel centrodestra tifavano per il tycoon. La corsa per aggiudicarsi la benedizione del rieletto è cominciata. Salvini è partito prima e sulla carta è avvantaggiato. Giorgia è più abile e ha fatto in modo di diventare amicona dell'ormai quasi onnipotente Elon Musk giusto in tempo utile.