Parlare di crioconservazione del seme implica un richiamo almeno generale alle biobanche, destinate alla raccolta di questo materiale. A fronte delle diverse accezioni, in questo articolo pensiamo alla crioconservazione di gameti maschili o femminili per finalità mirate soprattutto alla possibilità di un soggetto, che rischia a causa di alcune patologie ( es. malattie oncologiche e relative terapie) di perdere la fertilità e la capacità riproduttiva. Quindi di poter in futuro dare corso ad un progetto parentale. Ma questa è una delle possibili ragioni e se ne possono considerare altre quali, ad esempio, il deposito dell’ovocita in eccedenza nel corso della stessa PMA per non dover ricorrere ad ulteriori microinterventi o quale oggetto di possibile donazione a favore di donne infertili o, al di fuori della PMA, dettato da ragioni di “social freezing” per posticipare una gravidanza ad una età più avanzata.

Il tema della crioconservazione dei gameti pone una serie di questioni etiche e giuridiche in considerazione di ciò che si intende fare dei propri gameti. Tanto più che non è dato attualmente un chiaro ed organico quadro normativo, regole condivise, in merito all’attività delle biobanche né a livello nazionale né internazionale. Abbiamo le Linee guida del 2024 e quelle precedenti in materia di PMA e gli standard di qualità e sicurezza indicati dal Centro Nazionale Trapianti che ci forniscono indicazioni in merito ai dati e alle modalità di crioconservazione delle cellule riproduttive. Il necessario consenso dato dal soggetto deve anche tenere conto degli specifici criteri e obblighi, sebbene a volte formulati in modo generico, fissati dal Garante.

Comunque, in linea generale possono valere alcuni principi: quello della proprietà e quello della gratuità. In merito alla “proprietà” rileva il fatto che, a seguito della asportazione, i tessuti continuano a trattenere col corpo una relazione che non può essere definita in via unitaria, ma varia a seconda della funzione a cui i tessuti medesimi sono preposti. Occorre infatti distinguere l’ipotesi nella quale a seguito del distacco dal corpo il tessuto sia destinato a ridiventare parte integrante del corpo originario e l’ipotesi nella quale il distacco sia permanente e il tessuto non sia destinato ad essere ricongiunto al corpo. Nel primo caso, sebbene staccato dal corpo originario, il tessuto destinato a ridiventare corpo va considerato dal punto di vista giuridico alla stregua del corpo stesso. E un caso in tal senso è dato proprio dal deposito presso una banca dei propri gameti che possono non essere considerati come separazione irreversibile dal corpo, bensì temporanea e, data la temporaneità, il seme mantiene una “unità funzionale” con il corpo

di origine, tanto da non poter essere considerato una cosa e dal ricevere una tutela dal punto di vista giuridico pari a quella del corpo stesso.

L’altro principio è quello della “gratuità” che si fonda sul principio generale che il corpo è fuori commercio e che la gratuità dovrebbe essere regola, quando si tratti di cessione dei gameti a favore di terzi. Penso ovviamente all’eterologa. In questo caso infatti il nostro legislatore ha voluto connotare l’atto di cessione sul piano causale in una finalità solidaristica e la gratuità rappresenta una dimensione necessaria dell’atto e del rapporto. E ancora una volta, come avviene per la donazione degli organi, le ragioni che sottostanno a questo principio sono da ricercarsi, da un lato, nella protezione della libera manifestazione della volontà del soggetto, in quanto si vuole evitare che la volontà di chi dona sia condizionata da speranze di profitto o di tipo economico; dall’altro nella volontà di escludere che l’accesso a risorse scarse sia deciso sulla base di criteri economici, elemento che creerebbe forti discriminazioni per i meno abbienti. Tuttavia si dovrà anche tenere conto che se potenziali donatori di gameti maschili possono non mancare, mancano con certezza in base ai dati resi noti dai Centri di procreazione le donatrici di ovociti. Una donna che voglia donare i propri gameti deve affrontare una procedura impegnativa, assumendosi dei rischi.

Appare allora realistico che per donare senza compenso gli ovociti, bisogna presupporre una forte motivazione in generale verso la donazione, cosa che peraltro manca in generale nel nostro Paese. È dunque una forma di donazione per la quale si è convenuto già in diversi Paesi europei di dare una “specifica e diversa attenzione”, prevedendo appropriati rimborsi o “uno scambio di servizi” nel contesto del trattamento dell’infertilità e della procedura di PMA.

Ne consegue che i confini tra “rimborso” e vera e propria “remunerazione” sono labili, tanto che il Nuffield Council on Bioethics fin dal 2001 ( Human Bodies: donation for medicine and research) ha proposto di abbandonare la tradizionale distinzione tra “donazione gratuita” e “donazione remunerata” e di introdurre la distinzione tra “donazione altruistica” e “donazione non altruistica”. Con tale distinzione si prende atto che in questa vicenda molto spesso vi sono pagamenti, e si propone di conservare il termine di donazione e di fare riferimento piuttosto alle motivazioni anziché alla presenza o assenza di denaro.