Morto e cremato da più di un anno Silvio Berlusconi, lo “psiconano” dileggiato sulle piazze da Beppe Grillo prima che ne scoprisse i voti che continuava a prendere da defunto e li rinfacciasse al non più garantito Giuseppe Conte, il mondo pentastellato ha adottato come suo irriducibile nemico Matteo Renzi. Come una trentina d’anni il mondo comunista – post- comunista, considerando i cambi di nome e di simboli del Pci dopo il crollo del muro di Berlino e di ciò che esso aveva rappresentato- rivolse tutto il suo astio contro Bettino Craxi e, più in generale, i socialisti. Che potevano al massimo bussare uno alla volta alle porte della sinistra, ed assurgere anche a qualche carica istituzionale o di governo - dalla presidenza del Consiglio alla presidenza della Corte Costituzionale, entrambe assegnate a Giuliano Amato, per esempio - ma mai pensare di ricostituire davvero il loro partito e rimetterlo nel mercato elettorale. «Bisogna che non ritrovino il gusto di raccogliere voti», venne una volta attribuito, non so francamente se a torto o a ragione, a Massimo D’Alema prima che Renzi si proponesse di rottamarlo.

Mi ha colpito quel richiamo liberatorio ieri sulla prima pagina del Fatto Quotidiano di un articolo che riferiva all’interno la esclusione, mancanza e quant’altro del simbolo del partito di Renzi nelle elezioni regionali del mese prossimo in Umbria ed Emilia-Romagna. Neppure in Liguria, dove si voterà fra una quindicina di giorni, sono state notoriamente accettate tracce renziane, si vedrà con quali effetti sui risultati della corsa dell’ex ministro del Pd Andrea Orlando alla presidenza della regione dopo la caduta per via giudiziaria di Giovanni Toti. Che si è rassegnato al patteggiamento per corruzione impropria allo scopo di sottrarsi al processo per corruzione non impropria allestitogli col rito accelerato dopo indagini durate quattro anni e condotte con i sistemi più invasivi: dal trojan intercettativo alla carcerazione preventiva.

Renzi è naturalmente, e comprensibilmente, il primo ad augurarsi che la corsa di Orlando in Liguria vada a sbattere contro i voti, pochi o molti che potranno essere, degli elettori della sua Italia Viva rimasti senza candidati perché discriminati da Conte in persona con il consenso dello stesso Orlando e, soprattutto, della segretaria del Pd Elly Schlein. Alla quale Goffredo Bettini, sempre attivo dietro e davanti alle quinte del Nazareno, ha appena consigliato pubblicamente comprensione nei riguardi delle esigenze tattiche e strategiche del presidente delle 5 Stelle, assecondandolo quindi nelle azioni di contrasto a Renzi e non scambiando quest’ultimo per la personalità più rappresentativa dell’area moderata o centrista dello schieramento alternativo all’attuale governo.

Piuttosto che a Renzi, e a Carlo Calenda, anche lui forse troppo polemico con Conte, bisognerebbe continuare o tornare a scommettere e a premere, secondo Bettini, su Francesco Rutelli per costruire la gamba di centro di un tavolo antimeloniano. E smetterla, sempre secondo Bettini, di sognare un distacco di Forza Italia dal centrodestra. L’antimelonismo, l’antirenzismo, l’antiforzismo, naturalmente l’antisalvinismo e, più in generale, l’antileghismo, a dispetto dei tempi in cui un ancora influente Massimo D’Alema vedeva nella Lega di Umberto Bossi “una costola della sinistra” caduta per errore nel campo di Silvio Berlusconi nel 1994. E tornatavi dopo una rottura durata cinque anni, nonostante nel frattempo lo stesso D’Alema e il suo successore a Palazzo Chigi, Giuliano Amato, avessero regalato al Carroccio, con la riforma del titolo quinto della Costituzione, l’ampliamento delle competenze regionali.

Da cui è derivata la legge sulle autonomie differenziate impugnata dalle opposizioni col referendum e con alcuni ricorsi regionali alla Corte Costituzionale. Anti, dicevo. Tutto contro, in un corpo a corpo infinito in cui Conte pensa di avere forse anche il fisico, oltre che le carte migliori per essere la punta più avanzata. O, come disse il già ricordato Bettini nel 2020, “il punto più alto di riferimento dei progressisti in Italia”. Di solito tuttavia il corpo a corpo in politica finisce male anche quando sembra riuscito bene per chi lo aveva voluto. Come accadde nel secolo scorso con l’anticraxismo finito nella vittoria elettorale di Silvio Berlusconi, il più vistoso amico del leader socialista nel frattempo ritiratosi ad Hammamet per morirvi da esule, o da latitante per i suoi nemici.