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Silvio Berlusconi, presidente di Forza Italia
A prescindere da quanto è durato “il fango” lamentato da Silvio Berlusconi per i rapporti con le “olgettine” ospiti delle sue feste private- 11 anni come lui ha calcolato, 13 come li ha contati l’amico Maurizio Belpietro sulla Verità, o solo i 6 del processo di primo grado a Milano conclusosi con l’assoluzione perché “non sussiste il fatto” contestatogli di corruzione in atti giudiziari; a prescindere, dicevo, da questo ed altro ancora, come l’assurdità logica di processi intentati da magistrati di varie Procure praticamente contro l’assoluzione definitiva di Berlusconi dalla originaria accusa di induzione alla prostituzione minorile, sarebbe bello se l’accusa ambrosiana rinunciasse all’appello. Dovrebbero bastare e avanzare i sei anni del processo di primo grado: un’enormità che da sola dovrebbe fare arrossire di vergogna uno Stato di diritto davvero, non a parole. Ma temo di stare immaginando uno scenario di terzo tipo, come si dice dei marziani.
Una rappresentante dell’accusa ha già reagito all’assoluzione confermando le proprie convinzioni e limitandosi - bontà sua ad annunciare di volere leggere prima le motivazioni della sentenza, quando sarà depositata. Il solito Fatto Quotidiano, abitualmente schierato con le Procure spesso addirittura scavalcandole, ha già gridato contro i “criminali in festa” perché - ha titolato- “pagare per farla franca non è reato” grazie a un “cavillo”: quello usato per negare validità processuale a testimoni che avrebbero dovuto essere sentiti e trattati come imputati. Che hanno peraltro il diritto di mentire. E’ un cavillo che ha indotto anche un giornale come quello dei vescovi, cioè Avvenire, a titolare un po’ come Il Fatto Quotidiano, o quasi: “Berlusconi è assolto (sbagliata l’inchiesta)”. Che, dunque, se fosse stata condotta diversamente, senza errori reali o presunti, avrebbe potuto procurare a Berlusconi una condanna. Che questa volta avrebbe raddoppiato le difficoltà politiche in cui l’ex premier era appena incorso con le sue nuove dichiarazioni critiche verso il presidente ucraino Zelensky: “il signore” che Giorgia Meloni ha voluto incontrare a Bruxelles e intende andare a visitare a Kiev per ribadirgli la solidarietà e gli aiuti economici e militari dell’Italia nella difesa dall’aggressione russa.
Per una volta, a loro insaputa, come accadde a Cristoforo Colombo scoprendo l’America cercando le Indie, i magistrati si sono trovati un po’ nei panni dei soccorritori politici di quel diavolo di Berlusconi, sopravvissuto bene o male a più di cento processi intentati contro di lui nei tribunali d’Italia: un numero che da solo, come i sei anni del processo di primo grado appena concluso a Milano con l’assoluzione, dovrebbe fare vergognare - ripeto- uno Stato di diritto davvero, non solo a parole.
Lo scenario di terzo tipo - temo - dal quale sono tentato non è comunque soltanto quello dell’accusa ambrosiana che rinuncia all’appello bastando e avanzando i sei anni del primo grado, ed essendo irrealistico pensare che a questo punto possano essere corretti gli errori scoperti nelle indagini. E’ anche lo scenario degli amici e colleghi senatori o deputati di Forza Italia - non Forse Italia, come ha sfottuto sul Corriere della Sera il vignettista Emilio Giannelli dopo l’ennesima uscita del Cavaliere sulla guerra in Ucrainache rinunciano alla commissione parlamentare d’inchiesta appena reclamata sull’uso politico della giustizia. E ciò non perché questo abuso non ci sia stato, con e prima ancora di Berlusconi, considerando la falsa epopea di Mani pulite tradottasi nel ghigliottinamento della cosiddetta prima Repubblica, ma semplicemente perché continuano a non esistere nelle Camere le condizioni realistiche per ottenerla.
E forse neppure per condurla, come ha avvertito uno che una commissione parlamentare d’indagine su altro tema l’ha condotta qualche anno fa da presidente: Pier Ferdinando Casini.
Non parliamo poi delle varie commissioni parlamentari d’inchiesta, diretta o indiretta, sull’affare Moro di 45 anni fa. Che è rimasto un malaffare sia per le vittime rimaste sul campo della tragedia, dalla scorta allo stesso Moro, sia per i troppi punti o aspetti di quella vicenda rimasti oscuri. Che non sarà certo Mario Moretti, il capo brigatista rosso di quell’operazione, a chiarire nelle condizioni di semilibertà in cui vive già dal 1997, dopo sedici anni soltanto di carcere pieno, e con sei ergastoli sulle spalle.
Accontentatevi, amici comuni di Berlusconi, del fango che la magistratura si è buttata addosso da sola con quel numero sproporzionato di processi condotti contro di lui: processi a volte, come quelli ancora in corso, sostanzialmente contro altri processi o, più genericamente, procedimenti chiusi con l’assoluzione o l’archiviazione. Cercate piuttosto di far cambiare a Berlusconi idea su Zelensky e dintorni.