PHOTO
Matteo Salvini con Giulia Bongiorno
Il tribunale di Palermo ha assolto Salvini dalle accuse di sequestro di persone e rifiuto di atti d’ufficio per il caso Open Arms “perché il fatto non sussiste”. Secondo il Collegio della seconda sezione del Tribunale di Palermo, dunque, Salvini non è responsabile di aver negato e ritardato per 19 giorni lo sbarco di 147 migranti in gravi difficoltà fisiche e psicologiche, compresi i minori, soccorsi dalla nave della Ong spagnola.
Nell’agosto 2019, sotto altro governo, Matteo Salvini aveva firmato il primo divieto di ingresso, in applicazione dei decreti Sicurezza. Ne seguirà un altro, quando il Tar del Lazio aveva sospeso l’efficacia del divieto di ingresso. Si crea così un esempio di un conflitto tra la regola giuridica e la regola etica. Il tribunale di Palermo si affida al diritto e ritiene che i divieti posti da Salvini siano giustificati e legittimi in quanto basati su decreti normativi che tutelano i confini del nostro Paese. Tuttavia, appare difficile trascurare che i 147 migranti, minori inclusi, tenuti in condizioni miserevoli in mezzo al mare a ballare fra le onde, non rispondano a quelle grandi linee di quell’etica che da anni valorizza la vita, la dignità delle persone, in specie di quelle vulnerabili, la tutela dei minori. Carte internazionali, quali Il Codice di Norimberga, La Convenzione europea sull’esercizio dei diritti dei fanciulli, numerosi documenti di organizzazioni e comitati nazionali e internazionali, con il compito di indicare i modelli comportamentali allo stesso legislatore e alla società, sono certamente serviti a ricordare che la dignità umana nelle sue diverse letture, sia come diritto soggettivo, sia come norma di diritto oggettivo, va salvaguardata di fronte al potere di chi governa e alle regole che ritiene opportuno emanare.
Forse anche questi interventi, che svolgono comunque funzioni di indirizzo, consigliano l’intervento del legislatore o, comunque, raccomandano una legislazione contenuta che non regolamenti tutto, ma si limiti ad accordare nei casi indispensabili protezione ai diritti inalienabili e fondamentali della persona umana.
Peraltro, abbiamo una società democratica sempre più sensibile verso il benessere individuale e collettivo e, quindi, una crescita di attenzione verso i diritti dei cittadini, che si dovrebbe tradurre in uno studio sistematico dei principi giuridici.
Si potrebbe sostenere che il diritto abbia poco a che vedere con la riflessione etica, considerato che il suo fine è quello di raggiungere e incrementare scopi politici e ideologici a cui solo la regola giuridica ha la capacità di dare soddisfazione. Ma, di contro, non si dovrebbe escludere che il ragionamento giuridico includa anche la valutazione morale, discostandosi dalla pretesa propria degli analisti che esso sia “avalutativo”. Come ebbe modo di osservare Hans Georg Gadamer nell’ambito dell’ermeneutica giuridica, i giudizi di valore, i giudizi morali sono ammissibili, anzi sono pienamente auspicabili nel lavoro del legislatore. Ne consegue che in questa visione ermeneutica “essere” e “dover essere” dovrebbero il più possibile coincidere e distaccarsi dal problema di un sapere puro separato dal dover essere.
Tutto ciò rende certamente il processo legislativo di regolamentazione tanto più arduo, dovendo fare i conti con la riflessione etica. Ma se ciò non accade, la capacità generalizzante, universalmente aggregante del diritto andrebbe persa al posto di una scelta autoritaria, qual è stata appunto la vicenda Open Arms. Una vicenda che nel gioco di previsione degli effetti, per evitare mali peggiori, riceve, tuttavia, una condivisione politica e giuridica del tutto marginale e fortemente discutibile e che in sede morale non possiamo che rifiutare.