Ci occupiamo spesso dei temi riguardanti il sovraffollamento carcerario, parliamo di come le nostre carceri stiano vivendo un momento drammatico e difficile da oramai troppo tempo. Tuttavia, non possiamo continuare ad ignorare come anche il sistema penitenziario minorile, che ha spesso rappresentato una realtà meno problematica nel sistema carcerario italiano, stia vivendo una realtà drammatica. In un solo anno il numero di ingressi negli istituti penitenziari per minorenni è aumentato esponenzialmente, portando un sistema già di per sé fragile e complesso molto vicino al collasso.

La funzione della pena, come sancito dalla nostra Carta costituzionale, è quella di rieducare il reo, di permettergli di rientrare in società ricucendo la frattura dell’ordine sociale creata dal reato, e tale principio fondamentale risulta ancora più urgente ed essenziale nei confronti dei minorenni, con un futuro ancora più ampio da riscrivere e “salvare”. La rieducazione, nell’ottica del sistema carcerario minorile, assume un’importanza fondamentale: dimostrare ai ragazzi cosa significhi il vivere all’insegna della legalità, del rispetto delle leggi, dimostrare loro che il loro futuro ha la possibilità di non essere segnato indelebilmente dal reato commesso, riveste un’importanza fondamentale. Come possiamo dunque aiutarli, porre argine alla loro deriva sociale, rinchiudendoli in strutture non idonee, sovraffollate, spesso carenti delle condizioni igienico — sanitarie minime e senza adeguati sostegni educativi e psicologici?

Molto spesso i ragazzi negli Ipm vengono da situazioni familiari o sociali disagiate oppure sono soli al mondo, come ci ricorda il dramma dei minori stranieri non accompagnati, che molto spesso si ritrovano a delinquere in quanto convinti che sia solo quella la strada per poter sopravvivere. Ma ancora, abbiamo assistito ad una deriva sociale riguardante moltissimi ragazzi: si pensi solo che anche la percentuale di reati sessuali commessi tra i minorenni è aumentata nel corso del tempo, portando ad un’escalation di violenza nuda e cruda, commessa nell’illusione, molto breve, di non subire conseguenze. C’è chi imputa l’origine della violenza agli ambienti frequentati, all’utilizzo dei social, all’influenza di determinate “culture del crimine” che portano i ragazzi a pensare che delinquere sia un qualcosa di prestigio. Ed è proprio per questo che dovrebbero esserci percorsi di recupero concreti, sostegni incessanti volti all’accoglienza e alla reintegrazione sociale. Ad un anno dall’entrata

in vigore del decreto “Caivano”, il carcere minorenne ha iniziato lentamente a mostrare un volto nuovo, più duro, più complicato. Gli istituti penitenziari per minorenni, a parte alcuni esempi virtuosi che risultano comunque molto vicini al collasso, hanno iniziato una costante metamorfosi in piccole discariche sociali per giovanissimi, che finiscono con produrre nuova criminalità ed esacerbare numerosi problemi già presenti.

Abbiamo sempre cercato di preservare gli Ipm come luoghi connotati da una pregnante vocazione educativa, in particolare grazie ad attività scolastiche e di reinserimento sociale, ma in queste condizioni risulta veramente difficile offrire speranza a chi la speranza, anche da giovanissimo, sembra non vederla. Occorre pur sempre ricordare che i minori presenti negli istituti sono per la maggior parte infradiciottenni, che stanno vivendo uno dei momenti fondamentali della propria crescita e che li porterà ad essere gli uomini e le donne del futuro. Far espiare loro la pena in tali condizioni, potrebbe contribuire ad alimentare il sistema delle “porte girevoli”: esco dal carcere, ho conosciuto solo il crimine nella mia vita, delinquo ancora, ritorno in carcere.

I detenuti chiedono molto spesso di essere visti, di essere ascoltati: è bello ricordare come i giudici della Corte costituzionale abbiano fatto un “viaggio” negli istituti di pena, proprio per toccare con mano le situazioni che si intrecciano al loro interno. A maggior ragione per i ragazzi, il più delle volte già in una situazione di abbandono familiare o sociale, sapere di non essere abbandonati a loro stessi neanche dallo Stato, vedere le istituzioni come vicine, come un’opportunità di ripristino, risulta fondamentale. Diamo una possibilità a questi ragazzi, che non sia un “liberi tutti”: chi sbaglia paga, ma deve pagare in condizioni dignitose e giuste, per non dimenticare mai cosa hanno lasciato e cosa potrebbero trovare oltre delle sbarre che non devono tarpare le ali a chi non ha avuto ancora modo di spiegarle.