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Gli onorevoli Maria Elena Boschi, Enrico Costa e Tommaso Calderone sono amici di questo giornale. Meglio: sulla giustizia condividono una chiara e limpida posizione garantista. Da sempre e senza sbavature. Esattamente come noi. Per questo siamo sorpresi, forse addirittura dispiaciuti, della loro posizione sul decreto Cybersicurezza che prevede fino a 8 anni di carcere per i giornalisti che consapevolmente divulgano notizie frutto di reato.
Certo, sappiamo bene che qualcuno di loro ha vissuto sulla propria pelle la ferocia del processo mediatico giudiziario. Sono cicatrici che non si rimarginano. E sappiamo che le ferite delle accuse mediatiche difficilmente possono essere lenite da un’assoluzione che spesso arriva dopo anni e viene liquidata con una semplice e invisibile “notizia breve” pubblicata in ultima pagina.
Eppure la galera non è la soluzione. Chi oggi vuole quella legge rischia di tradire i valori per i quali ha combattuto e ancora combatte. Chi per anni ha parlato di depenalizzazione, di giusto processo, di garanzie oggi non può, non deve chiedere la galera ai giornalisti perché la stampa è uno di quei gangli che va maneggiato con cura, con attenzione; è il cuore stesso di una democrazia, la cartina al tornasole che certifica il grado di libertà di un paese. Insomma, bisogna fare grande attenzione perché il passo da una democrazia compiuta a una pur inconsapevole deriva orbaniana è dietro l’angolo, più vicino di quanto si possa immaginare.
La battaglia contro il processo mediatico, i dossieraggi e lo “sputtanamento” a mezzo stampa si conduce con altri strumenti. Dobbiamo colpire il grumo di interessi che si coagula intorno al rapporto malato tra alcune procure e alcuni giornali. Dobbiamo destrutturare la visione di una giustizia che vede nella pena il suo unico orizzonte. E soprattutto dobbiamo smontare il processo mediatico-giudiziario lavorando nella direzione di un rafforzamento della presunzione di innocenza, come del resto ha fatto lo stesso Enrico Costa quando ha seguito passo passo il recepimento della direttiva europea 2016/343.
Insomma, è vero, il mercato nero delle notizie va fermato, arginato. Ma la cura immaginata può fare molti danni, più del male stesso. Questa battaglia non si fa a colpi di galera!