La discussione sul cosiddetto decreto carceri del Governo al Senato e il rinvio sine die del disegno di legge Giachetti alla Camera dimostrano, purtroppo, che la maggioranza non ha il coraggio di rispondere a una situazione che il Presidente Mattarella, citando la drammatica lettera dei detenuti dal carcere di Brescia, ha definito “indecorosa per un Paese civile”. Il tasso di affollamento è attualmente al 130 per cento, il 27 per cento dei reclusi ha a disposizione meno di 3 mq e si contano purtroppo 58 suicidi da inizio anno. Numeri impietosi che confermano le gravi condizioni in cui versano le carceri italiane, a scapito non solo dei detenuti ma anche della Polizia Penitenziaria, del Terzo Settore e di chi opera in queste strutture ogni giorno.

Il principio della certezza della pena, nella discussione pubblica, è stato impropriamente trasformato in quello della imprescindibilità della galera, suggerendo l’illusione che detenzioni più lunghe, afflittive e disumane siano la migliore garanzia per la sicurezza dei cittadini e che quindi anche il sacrificio dei diritti dei detenuti sia giustificato da prevalenti interessi sociali. Tutto ciò non solo non è giusto, ma semplicemente non è vero.

Se la pena serve in primo luogo a prendere in carico un delinquente per riconsegnare alla società un non delinquente, è ampiamente dimostrato dai tassi di recidiva degli ex detenuti che le misure alternative alla detenzione, favorendo il reinserimento sociale e occupazionale dei condannati, sono molto più efficaci per prevenire “ricadute” nel crimine. E il percorso intrapreso al Senato con Eleonora Di Benedetto e la Fondazione Severino, con Caterina Micolano ed Ethicarei, per avvicinare sempre più il mondo imprenditoriale a quello dei detenuti, attraverso la formazione e il lavoro, va esattamente in questa direzione.

Al contrario, quanto più l’espiazione della pena è disumana e incompatibile con la funzione riabilitativa prescritta dalla Costituzione, tanto più diventa un fattore di cronicizzazione criminale. Per questa ragione, rendere più semplice l’accesso alla semilibertà o alla detenzione domiciliare non è un atto di generosità verso i detenuti, ma di previdenza verso la società. Per questa stessa ragione, rendere il carcere più vivibile e servibile per attività di formazione e lavoro, nonché più aperto alle esigenze affettive dei detenuti e alle loro relazioni personali e familiari può essere una scommessa vinta per tutti.

La questione carceri deve essere al centro dell’agenda politica. È un’emergenza che riguarda tutte le forze politiche, al di là delle appartenenze, lontano da ideologie e contrapposizioni. Serve una battaglia trasversale per attivare le giuste sinergie. E serve più coraggio. Di questo coraggio al momento la maggioranza non ha dato prova né a Palazzo Madama, dove è in conversione il decreto Nordio sulle carceri, né alla Camera dove la discussione sul disegno di legge Giachetti viene sistematicamente accantonata.

Come Azione, abbiamo presentato diversi emendamenti al decreto del Governo, a partire da quello per rendere automatici sessanta giorni di liberazione anticipata per ogni semestre di pena espiata, tranne nei casi e per i periodi in cui il detenuto abbia subito provvedimenti disciplinari. Un automatismo che aveva suggerito Valerio Onida vent’anni fa.

L’esecutivo – nonostante le proposte in materia di affidamento in prova, detenzione domiciliare, semilibertà e su una pluralità di programmi per rendere il carcere insieme più utile e più umano, che non sono però realizzabili senza riportare la popolazione detenuta entro i limiti della capienza regolamentare - ha scelto di non scegliere.

Un ultimo punto. Le carceri non esplodono solo perché sono piene di condannati a cui sono precluse misure alternative alla detenzione, ma perché sono pure piene di innocenti, cioè di detenuti in attesa di giudizio definitivo, circa un terzo del totale, molti dei quali destinati a essere assolti. Anche su questo punto nella maggioranza non si muove niente, ma bisogna ammettere che non si muove nulla neppure nell’opposizione di sinistra, che qualifica ogni limitazione della custodia cautelare come un torto al lavoro dei magistrati.