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Una seduta del Consiglio Superiore della Magistratura
Fare i conti col passato: il Csm non ci riesce. Non ci è riuscita ancora la magistratura nelle sue rappresentanze, Anm inclusa. Non si riesce ad accettare l’idea che, per anni, non un piccolo nugolo di indisciplinati ma il gotha dell’ordine giudiziario ha sostituito le normali procedure di carriera con una frenetica macchina dei “favori”. È stato così: il che non ha impedito di nominare a procuratore o presidente di Tribunale centinaia di validissimi servitori dello Stato. Ma anche i più bravi, il più delle volte, hanno dovuto raccomandarsi ai capicorrente. Si sono dovuti assicurare di non avere contro l’Anm o qualche gruppo di peso. Eppure è come se ancora oggi quel circuito in cui si incrociano sindacato dei giudici, organo di autogoverno e classe dirigente della magistratura rimuovesse la realtà. Il caso di Alessia Sinatra, la pm di Palermo punita per aver “chiesto giustizia” su Giuseppe Creazzo all’allora potentissimo Luca Palamara è l’ennesimo esempio della rimozione. Infliggere la censura a una collega che si sfoga per aver subito una molestia è come chiudere gli occhi sulla storia. Significa far finta di ignorare che, almeno fino alla fatidica sera dell’hotel Champagne e al trojan che ha spiattellato il retropalco delle toghe, tutto o quasi avveniva per trattative e segnalazioni informali. Ci si rivolgeva a Palamara o ad altri leader dell’Anm e delle correnti per autopromuoversi o per denunciare scorrettezze altrui. Come si può ora impallinare chi, come la pm Sinatra, preferì l’informalità al protocollo, esattamente come facevano praticamente tutti i colleghi?
I magistrati, che pure in tante occasioni hanno mostrato di rappresentare una delle ultime vere élites intellettuali del Paese, dovrebbero accettare il fatto che a lungo, almeno fino al 2019, si sono affidati a quello che potremmo definire l’autogoverno informale o parallelo. Sarebbe giusto farci i conti anziché perseverare in decisioni inevitabilmente venate d’ipocrisia. Perché la sentenza con cui la nuova sezione disciplinare di Palazzo dei Marescialli ha condannato Sinatra sarà forse congegnata tecnicamente, ma non regge sul piano di realtà. Non tiene conto di quell’autogoverno parallelo. E fa il paio con altre questioni, a cominciare dalla radiazione inflitta allo stesso Palamara. La “reductio ad unum” di una prassi collettiva è stata nient’altro che un disperato tentativo di rimozione: ci si è illusi che per cancellare tutto potesse bastare il sacrificio del presunto deus ex machina: al massimo Palamara era uno dei numerosi dei dell’olimpo, non certo un monoteistico orditore di trame. Ora si chiudono di nuovo gli occhi sul contesto e si infligge alla dottoressa Sinatra l’umiliazione della condanna, nonostante tutto rimandi a una vicenda personale dolorosa.
Alcuni parlamentari vi hanno colto una forma di vittimizzazione secondaria. Lo ha fatto ad esempio la dem Valeria Valente, senatrice in prima linea nel contrasto della violenza di genere, giustamente colpita dall’inopportunità della sanzione. Ne ha parlato Luana Zanella dell’Alleanza Verdi Sinistra, che a propria volta contestualizza il colpo inferto a Sinatra nel più generale calvario delle donne prima umiliate e poi indotte al silenzio: «Così si suggerisce omertà a tutte le vittime». Ed è difficile dare torto al responsabile Giustizia di Azione Enrico Costa, che fa notare come Sinatra sia stata di fatto discriminata rispetto a quelle decine, se non centinaia, di colleghi neppure incolpati dal Csm nonostante avessero avuto scambi “eterodossi” con Palamara: la pm di Palermo, ha detto l’onorevole Costa, «non ha chiesto di fare carriera ma si è sfogata per essere stata molestata, e aveva tutte le ragioni per farlo».
Verrebbe da scorgere un altro esempio di quella rimozione anche nella circolare con cui l’ex pg di Cassazione Giovanni Salvi assolse preventivamente tutti i colleghi che si erano rivolti al “terribile Luca” affinché si ricordasse di loro. Ma in quel caso forse la magistratura, attraverso una propria alta istituzione, è riuscita a compiere un atto di realismo: ha storicizzato le raccomandazioni, che pure implicitamente consistono in danni arrecati a colleghi. Ecco, sarebbe grave se, ora che si è inciampati nella incredibile condanna di Sinatra, non scattasse un serio impulso a realizzare una storicizzazione più complessiva, una sorta di amnistia senza capri espiatori, senza neppure il capro espiatorio Palamara. C’è da augurarsi che un caso così clamoroso come quello che ha visto ferita la pm palermitana allontani il moralismo un po’ ipocrita con cui è stato finora affrontato il nodo delle trattative correntizie. E aiuti la magistratura a capire che se non si fanno fino in fondo i conti col passato ci sono poche speranze di evitare quegli stessi errori per il futuro